Una dichiarazione clamorosa scuote l’Europa alla vigilia del vertice NATO all’Aia: il primo ministro slovacco Robert Fico ha affermato che la Slovacchia potrebbe abbandonare l’Alleanza Atlantica, se verrà costretta ad aumentare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2032. Una minaccia che va ben oltre il dibattito sui numeri e mette in discussione il futuro euroatlantico del Paese.
Difesa o diktat? Il rifiuto di Fico
Secondo quanto riportato da AP News, Fico ha definito la proposta della NATO “assurda” e contraria agli interessi nazionali della Slovacchia. Si parla di oltre 7 miliardi di euro da destinare alla difesa e alla modernizzazione delle infrastrutture dual-use: una cifra che rappresenterebbe quasi il 20% del bilancio statale.
Ma più che una critica economica, le parole di Fico appaiono come un attacco politico al concetto stesso di sicurezza collettiva, cuore dell’Alleanza Atlantica. Ha espresso il suo dissenso in una riunione riservata con il presidente Peter Pellegrini e i capi dei partiti parlamentari, sottolineando che la Slovacchia dovrebbe poter decidere autonomamentecome gestire le proprie risorse.
L’eco di Orbán e il riflesso di Mosca
La posizione di Fico ricalca quella di un altro leader centroeuropeo: Viktor Orbán. Come il premier ungherese, Fico rivendica il “sovranismo” in politica estera e si oppone apertamente a ciò che definisce “interferenze occidentali”. Entrambi i leader evitano il coinvolgimento attivo nel sostegno all’Ucraina e pongono dubbi sui valori e le prioritàdell’Unione Europea e della NATO.
Una retorica che risuona pericolosamente con le narrative del Cremlino: l’idea che le nazioni dell’Europa centrale debbano restare neutre, lontane dalle “guerre degli altri”. Ma in realtà, questo neutralismo mascherato rischia di indebolire la solidarietà occidentale e rafforzare la posizione geopolitica della Russia.
Neutralità: una scelta o una scusa?
Fico presenta la neutralità slovacca come un’alternativa virtuosa al vincolo NATO. Ma gli analisti sottolineano che, nel contesto attuale, questa posizione appare come una copertura diplomatica per una linea filorussa. In un momento in cui la Russia continua l’aggressione all’Ucraina, abbandonare il concetto di difesa collettiva equivarrebbe a lasciare il paese vulnerabile e isolato.
La Slovacchia, come membro NATO, ha firmato impegni chiari: solidarietà tra alleati, difesa comune, e partecipazione alle spese. Le parole di Fico mettono a rischio questa credibilità internazionale.
Il rischio di un isolamento geopolitico
Il malcontento non si è limitato alle aule della politica. Le parole del premier hanno sollevato reazioni critiche all’interno della Slovacchia stessa, dove cresce il timore che simili uscite retoriche possano minare la stabilità internae isolare il paese nel panorama internazionale.
Anche all’estero, le reazioni non si sono fatte attendere. La possibilità che un Paese membro metta in discussione i principi fondanti della NATO viene vista come un segnale d’allarme, soprattutto in un momento storico in cui l’unità dell’Occidente è fondamentale.
Difesa e sicurezza: non è solo questione di numeri
Definire le spese proposte come “assurde” ignora una realtà condivisa da molti Paesi membri: rafforzare la difesa è diventata una necessità, non un lusso. Con l’aggressione russa ancora in corso e la crescente instabilità globale, investire in sicurezza non è una scelta, ma una responsabilità.
Diverse nazioni stanno già adeguando i loro budget alle nuove esigenze strategiche. Rifiutare questa linea comune non solo indebolisce la Slovacchia, ma potrebbe anche comprometterne il ruolo all’interno dell’Unione Europea e dell’Alleanza.
La posta in gioco: più della spesa militare
Non si tratta soltanto di soldi, ma di identità geopolitica, di fiducia tra alleati e della posizione della Slovacchia in uno scacchiere internazionale sempre più polarizzato. Le parole di Fico rischiano di allontanare il paese non solo dalla NATO, ma anche dalla sua tradizione democratica e dalla solidarietà europea.
In un momento in cui l’Europa si trova di fronte a sfide storiche, la leadership richiede visione, non slogan. E l’uscita dalla NATO, più che un atto di sovranità, potrebbe rivelarsi un salto nel vuoto.