La Tragica Morte di Anas al Sharif e Altri Giornalisti a Gaza
Il corteo funebre per i giornalisti deceduti davanti all’Al Shifa Hospital rappresenta un fiume di uomini arrabbiati che avanza veloce tra macerie e case distrutte. Colleghi, amici e familiari sostengono le bare coperte dalla bandiera palestinese, mentre i giubbotti antiproiettile con la scritta “Press” vengono adagiati sopra di esse. I bambini intorno saltellano, cercando di tenere il passo con gli adulti.», riporta Attuale.
La morte di Anas al Sharif e di cinque reporter è un colpo devastante per Gaza. Domenica sera, l’esercito israeliano ha effettuato un raid mirato sulla tenda-redazione dove si trovava il noto corrispondente di Al Jazeera seguito da quasi due milioni di follower. Insieme a lui c’erano anche un altro giornalista della rete, Mohammed Qreiqeh, e i cameramen Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal, Moamen Aliwa, e il fotoreporter Mohammed Al-Khaldi. Per la prima volta, l’IDF ha rivendicato pubblicamente il bombardamento, affermando che Al Sharif fosse alla guida di una cellula di Hamas, responsabile della pianificazione di attacchi missilistici.
Il portavoce dell’esercito ha dichiarato di possedere documentazione che evidenzierebbe il legame tra il giornalista e l’organizzazione terroristica. Sono stati mostrati screenshot di elenchi di personale, liste di addestramento, rubriche telefoniche e pagamenti, senza però rivelare i documenti completi.
Al Jazeera ha contestato le affermazioni israeliane, accusando il governo di mancanza di prove. In un’intervista con Hani Mahmoud, capo dei corrispondenti a Gaza, ha dichiarato: “Dove sono le prove? Anche gli altri 230 giornalisti uccisi, secondo Netanyahu, erano legati a Hamas.” Ha sottolineato che se Al Sharif fosse veramente un comandante militare, sarebbero dovute esistere prove evidenti. “Desiderano silenziare gli ultimi reporter rimasti nella Striscia. Anas era speciale, tra i pochi a raccontare la devastazione nel nord.”
Un ulteriore sospetto è stato sollevato dal portavoce militare, il quale ha condiviso selfie di Al Sharif con leader di Hamas e presunti messaggi in cui il giornalista festeggiava eventi legati all’organizzazione. “Una foto accanto a un leader politico di Gaza non costituisce prova di appartenenza. E poi: sono foto autentiche?” ha commentato Safwat Kahlout, un collega di Al Jazeera, ora in Italia. “Se avessero sospettato legami con il terrorismo, avrebbero dovuto presentarlo a un giudice.”
Il ripensamento della narrativa istituzionale è giunto in un contesto in cui i social media sono invasi dalle corrispondenze di Al Sharif, che documentava la disperazione e la fame della sua popolazione. I video catturano i suoi due figli di 15 mesi e quattro anni che gli corrono incontro, mentre lui stesso appare visibilmente provato e in lacrime, raccontando la sofferenza di Gaza.
Il 31 luglio, Irene Khan, relatrice speciale dell’Onu sulla libertà di espressione, aveva denunciato “gli attacchi online e le accuse infondate dell’esercito che mettono in pericolo la vita del giornalista”.
Al Sharif e Al Jazeera erano consapevoli di essere nel mirino di Israele. Il 6 aprile, il giornalista aveva redatto un messaggio-testamento da pubblicare in caso di sua morte, apparso ieri: “Non ho mai esitato a raccontare la verità, sperando che Dio fosse testimone di chi ha taciuto e di chi ha soffocato il nostro respiro.”
Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, Israele ha vietato l’ingresso ai giornalisti internazionali a Gaza. Tuttavia, domenica Netanyahu ha annunciato un possibile cambiamento di rotta, creando speranze in un allentamento delle restrizioni.