I messaggi di Mattarella, anche al governo: il patriottismo è quello dei partigiani. E senza Resistenza non ci sarebbe stata la rinascita del protagonismo delle donne
L’antifascismo è inclusivo, è accogliente. Ha il cuore grande e le braccia larghe. Tutti ci si possono ritrovare, assicura Sergio Mattarella facendo proprie le parole dello statista a lui più caro, Aldo Moro: «Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico». Nell’antifascismo c’è posto per chiunque non si ostini a difendere l’indifendibile, una dittatura brutale che, come ultimo crimine, ci trascinò in guerra. Basterebbe riconoscere la verità dei fatti, sembra dire agli irriducibili il presidente, per pacificare davvero l’Italia e restituirle finalmente una memoria comune, condivisa.
Gli orrori nazifascisti non sono contestabili. Mattarella ha parlato ieri mattina da Civitella Val di Chiana dove il 29 giugno 1944 i tedeschi della divisione Goring trucidarono 250 civili tra i quali dieci minori (compreso un bambino di un anno e una bambina di due). Lì vicino, a San Pancrazio, vennero assassinati altri 70 innocenti. Stessa sorte subirono due preti, don Alcide Lazzeri e don Giuseppe Torelli, che avevano offerto la vita per salvare i loro parrocchiani. Non fu un caso isolato, purtroppo. Di rappresaglie in territorio italiano se ne contarono circa 5mila, a riprova di un piano preordinato, concepito a freddo. Nel caso di Civitella, addirittura, «attendendo la festa dei Santi Pietro e Paolo per essere sicuri di poter effettuare un più numeroso rastrellamento di popolazione civile».
Il regime mussoliniano fu complice di questi orrori. Dopo la strage di Marzabotto, per esempio, «sui giornali sottoposti a censure la propaganda fascista» arrivò al punto di «smentire l’accaduto, cercando di definire false le notizie dell’eccidio e irridendo i testimoni». Ma la colpa di Mussolini, rammenta Mattarella, non fu solo la sudditanza a Hitler (c’è ancora chi va sostenendo che il Duce aveva fatto cose buone e il suo unico errore fu di essere entrato nel conflitto senza preparazione adeguata). Del fascismo, taglia corto il presidente, non c’è proprio nulla da salvare. Fu una «dittatura spietata che aveva soffocato i diritti politici e civili, calpestato le libertà fondamentali, perseguitato gli ebrei e le minoranze, educato i giovani alla sacrilega religione della violenza e del sopruso». La decisione di schierarsi con la Germania rappresentò l’«inevitabile conseguenza» di questa «fanatica esaltazione». Si sapeva dall’inizio che sarebbe finita così.
Viva la Resistenza, dunque. Che non fu solo rossa, come mistifica l’estrema destra, ed ebbe un grande sostegno di popolo: un «movimento largo e diffuso», lo descrive Mattarella, «che vide anche la rinascita del protagonismo delle donne», partigiane coraggiose. Ecco perché il 25 aprile «è per l’Italia una ricorrenza fondante»; ed ecco perché dalla Resistenza antifascista è nata la Costituzione, «in cui tutti possono ritrovarsi». Nessuna polemica o allusione nei confronti di chi ci governa. Semmai, in filigrana, un’indiretta risposta a quanti si attardano a sostenere che il termine antifascismo è «troppo generico» e «provocò morti» (tesi sostenuta dal ministro Francesco Lollobrigida). Chiarisce senza far nomi Mattarella che «i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché queste un giorno tacessero»; le rappresaglie nazifasciste contro i civili, invece, furono «gravissimi crimini di guerra, contrari a qualunque regola internazionale, all’onore militare e, ancor di più, ai principi di umanità». Come non cogliere questa piccola differenza?
Fonte: LaStampa