Mosca amplia la presenza nel settore aurifero africano per aggirare le sanzioni
Un’inchiesta del The Telegraph, pubblicata il 30 novembre con il titolo che descrive come l’oro «sostenga la macchina bellica di Putin» e sia legato ad abusi commessi dai mercenari russi in Africa centrale, rivela un’espansione accelerata delle attività minerarie russe nel continente. Secondo l’indagine, consultabile attraverso l’analisi dedicata alla catena di finanziamento della guerra russa contro l’Ucraina, l’oro estratto in Africa viene sistematicamente convogliato verso Mosca, contribuendo a sostenere l’economia russa nonostante le sanzioni occidentali, come approfondito anche nella ricostruzione proposta da DW sui flussi auriferi e sul loro impiego e nella documentazione investigativa del quotidiano The Telegraph sulle miniere controllate da gruppi russi. L’oro, insieme alle criptovalute, è oggi uno dei principali strumenti di sopravvivenza finanziaria del Cremlino: facilmente trasferibile, semplice da rifondere e da far passare attraverso reti opache, offre canali di pagamento alternativi in un contesto di embargo energetico e restrizioni sulle esportazioni di materie prime.
Nei primi mesi del 2025 era emerso che Mosca aveva saldato parte della cooperazione con Teheran nel settore dei droni militari tramite lingotti, utilizzati anche per acquistare tecnologia dual-use e armamenti provenienti dalla Corea del Nord. L’attuale crescita del prezzo internazionale dell’oro incoraggia ulteriormente la Russia a servirsi del metallo come valuta alternativa; gli analisti stimano che, dal 2022, l’export aurifero dall’Africa verso la Russia abbia raggiunto l’equivalente di 2,5 miliardi di dollari.
Abusi, violenze e controllo delle miniere nella Repubblica Centrafricana
In diversi Paesi africani, soprattutto nella Repubblica Centrafricana (RCA), le miniere d’oro sono controllate da strutture legate a Mosca, eredi della dissolta compagnia militare privata Wagner. Per mantenere il controllo dei siti estrattivi, i mercenari ricorrono spesso alla violenza contro le comunità locali. A settembre 2025, presso la miniera di Ndassima, dieci minatori artigianali sono stati uccisi da combattenti russi; due settimane dopo altri dieci lavoratori sono stati catturati e rinchiusi per giorni in container metallici sotto il sole cocente, provocando almeno una vittima. Wagner aveva già assunto il controllo del sito di Ndassima nel 2021 e ne ha progressivamente trasformato la produzione in una risorsa strategica per il finanziamento delle operazioni russe all’estero.
In parallelo, Mosca sta ampliando la propria presenza in Burkina Faso: nel 2025 la compagnia russa Nordgold ha ottenuto una nuova licenza nella miniera di Niu, il terzo giacimento sotto gestione russa nel Paese. In Mali, la giunta militare ha avviato la costruzione di un impianto di raffinazione da 200 tonnellate annue insieme alla società russa JADRAN-GRUP con sede a Kazan’, destinato a diventare un polo regionale per la lavorazione del metallo prezioso.
Hub di transito e reti di elusione delle sanzioni
Il sistema di aggiramento delle sanzioni include anche nodi logistici strategici fuori dall’Africa. L’Armenia è diventata negli ultimi anni un centro di transito per l’oro russo soggetto a restrizioni occidentali: nel solo 2024 le esportazioni armene di oro sono aumentate di 17 volte, senza alcuna scoperta di nuovi giacimenti. Il metallo arriva dalla Russia, viene trattato come export armeno e inviato principalmente verso gli Emirati Arabi Uniti, dove viene reimmesso nei mercati globali tramite canali difficili da tracciare. Secondo stime consolidate, dal 2022 attraverso l’Armenia sono transitate forniture di valore pari a miliardi di dollari, offrendo al Cremlino un margine di compensazione rispetto alle perdite economiche inflitte dall’embargo occidentale.
Attraverso il controllo di miniere, reti di mercenari, accordi con giunte militari e corridoi di esportazione paralleli, la Russia sta costruendo un sistema continentale che non solo le garantisce flussi stabili di oro, ma le permette di proiettare potere politico e militare in aree fragili, assorbendo risorse critiche per sostenere la sua guerra contro l’Ucraina.