L’Ucraina sta intensificando gli attacchi sulle raffinerie petrolifere russe per indebolire la macchina da guerra del Cremlino, con ripercussioni evidenti sul mercato del greggio
uando Volodymyr Zelensky è intervenuto a Bruxelles durante il Consiglio europeo per presentare il suo piano per la Vittoria si aspettava di ricevere una reazione entusiasta dai 27 leader dell’Unione europea. Per sua sorpresa, ha percepito scetticismo per la richiesta di un “invito” ufficiale di adesione immediata dell’Ucraina alla Nato, nonostante il conflitto con la Russia sia ancora in corso.
L’opposizione ucraina al piano per la Vittoria di Zelensky
Prima di presentarla a Bruxelles, Zelensky era intervenuto nel parlamento ucraino per mostrare la sua precisa strategia – articolata in cinque punti – finalizzata a rafforzare la posizione dell’Ucraina e porre fine alla guerra con la Russia entro il prossimo anno.
La sua proposta però non ha ricevuto il plauso dell’opposizione interna, di stampo nazionalista, che sostiene come il piano sia stato pensato e redatto proprio per essere respinto dagli alleati. Un probabile rifiuto dei paesi che sostengono Kiev potrebbe essere usato a favore di Zelensky per presentarsi al suo popolo e, nel sostenere di essere stato abbandonato dagli alleati, avanzare una nuova strategia di guerra. È questa la narrativa proposta dall’opposizione ucraina, che per ora non trova riscontri concreti. Ma qualche segnale in questo senso potrebbe già essere arrivato.
Facciamo un passo indietro, esattamente al 7 ottobre 2024. Sono le 4:30, il buio della notte viene infranto dalle fiamme di un incendio scoppiato in un deposito di petrolio a Feodosia, città della Crimea occupata dalla Russia. L’esplosione è nata presumibilmente dopo un attacco di droni. I residenti hanno raccontato di aver sentito diverse potenti esplosioni intorno alle 4:30 del mattino, poco prima che iniziasse l’incendio. Il canale Telegram Astra ha poi chiarito che la struttura in fiamme era il Marine Oil Terminal, precedentemente già colpito dai droni a marzo.
La dinamica ha lasciato poco spazi a dubbi su chi avesse dato il via libera all’attacco. Poche ore dopo è infatti arrivata la conferma delle autorità di Kiev: le forze missilistiche dell’Ucraina hanno lanciato un attacco contro il terminal di Feodosia, il più grande impianto di lavorazione del petrolio della Crimea per la movimentazione di prodotti petroliferi. L’attacco ucraino a Feodosia, l’ultimo di una lunga serie, avrebbe provocato il danneggiamento e la distruzione di 11 serbatoi di stoccaggio.
Attacchi alle raffinerie russe: che ripercussioni ci saranno per noi?
Attacchi ucraini su raffinerie petrolifere russe potrebbero segnare l’inizio di una nuova fase della guerra in Ucraina, finanziata in gran parte dai proventi sui combustibili fossili. La Russia dipende molto dai profitti derivanti dal petrolio e dal gas, che hanno rappresentato quasi un terzo delle entrate federali totali del paese nel 2023 e il 42 per cento nel 2022. I profitti derivanti dai combustibili fossili svolgono quindi un ruolo cruciale per il finanziamento della costosa macchina da guerra russa.
Mosca deve far fronte a un altro imprevisto. La Russia teme anche una mossa improvvida dell’Arabia Saudita, che non vuole perdere la propria posizione di re del petrolio mondiale. Riad infatti vuole aumentare la produzione di greggio per rispondere al fallito coordinamento degli altri petrostati nel tagliare l’offerta per aumentare i prezzi del petrolio a circa 100 dollari al barile, rispetto agli attuali 70. Una mossa, questa, che se attuata avrebbe ripercussioni sulla guerra in Ucraina. Secondo quanto dichiarato a Politico da Alexandra Prokopenko, economista e ricercatrice del Carnegie Endowment for International Peace, un calo di oltre 20 dollari nei prezzi del petrolio ai tassi di cambio attuali causerebbe alla Russia una perdita di 1,8 trilioni di rubli (20 miliardi di dollari) di entrate, pari a circa l’1 per cento del suo Pil.
Mosca nel frattempo ha aperto altri canali per svolgere indisturbata il suo ruolo di venditore di combustibile fossile. Nonostante le sanzioni occidentali, disposte in seguito alla guerra in Ucraina, la Russia ha costruito a una flotta di oltre 400 navi ‘fantasma’ che attualmente movimenta circa quattro milioni di barili di petrolio al giorno fuori dal raggio dei radar delle autorità internazionali – e quindi delle sanzioni -, generando miliardi di dollari all’anno di entrate aggiuntive per la guerra di Vladimir Putin.
Tra pressione e timori, l’Ucraina attacca i siti petroliferi russi
Ma quanto lontano può spingersi Kiev? L’Ucraina ha una scelta limitata nel poter contrattaccare le raffinerie russe a causa della pressione di Stati Uniti e degli alleati di ridurre quanto più possibile le ripercussioni sui mercati petroliferi internazionali.
Questo perché, chiarisce a Today.it Francesco Sassi, ricercatore in geopolitica dell’energia e sicurezza energetica presso il Rie, l’Ucraina vive anch’essa in un mondo di interdipendenze e se le capacità difensive e offensive e militari dipendono totalmente dall’Occidente, le ricadute in senso energetico devono essere quanto più limitate o il contraccolpo per Kiev potrebbe essere troppo grande. Senza dimenticare, precisa Sassi, come la Russia abbia migliorato le proprie capacità di prevenire tali attacchi.
L’intensità preventiva dalla Russia è quindi evidente. Mosca sa che ora Kiev ha un nuovo obiettivo, nonostante le pressioni esercitata da Washington. L’Ucraina ha tutte le intenzioni di colpire i siti di stoccaggio petrolifero russo, consapevole che i proventi dei combustibili fossili alimentano la macchina da guerra del Cremlino. Ne è convinto Cristiano Tinazzi, giornalista fondatore del War Reporting Training Camp, che a Today.it spiega però come i futuri attacchi dell’Ucraina sui siti di stoccaggio di gas e petrolio russo dipendano anche dalla sua disponibilità e possesso di droni.
I velivoli senza pilota, per cui Kiev sta studiando nuovi modelli da impegnare nella guerra, sono diventati gli strumenti che l’esercito ucraino predilige per colpire e fermare la macchina bellica del presidente russo Vladimir Putin. Come, appunto, i siti di stoccaggio di gas e petrolio russi.