Quando l’Europa avrà di nuovo un ‘governo’ potrebbe essere diverso da quello che si pensava

14.11.2024
Quando l'Europa avrà di nuovo un 'governo' potrebbe essere diverso da quello che si pensava
Quando l'Europa avrà di nuovo un 'governo' potrebbe essere diverso da quello che si pensava

Ormai a Bruxelles nessuno si fida più di nessuno: la maggioranza di von der Leyen scricchiola sul nascere con socialisti e liberali ai ferri corti con gli alleati popolari, accusati di flirtare troppo con la destra radicale

La maggioranza che dovrebbe sostenere la Commissione di Ursula von der Leyen sta già cadendo a pezzi. Se mai è nata. Sì, perché fin dal voto di fiducia alla popolare tedesca lo scorso luglio, la coalizione che dovrebbe sostenerla nei prossimi cinque anni si è rivelata più precaria che mai. Ora lo scontro in atto sulle audizioni dei vicepresidenti, Raffaele Fitto in primis, sta confermando che di una vera e propria maggioranza non si potrà parlare, e che le alleanze che sosterranno (o bocceranno) i futuri interventi legislativi di Bruxelles saranno più che mai fluide.

La maggioranza ufficiale

Ufficialmente la nuova Commissione europea dovrebbe essere sostenuta in Parlamento da un’alleanza tra popolari (la prima forza dell’Aula), socialisti e liberali. Ma quest’unione è tutt’altro che compatta e lo ha già dimostrato il voto di fiducia alla stessa von der Leyen a luglio.

Allora la popolare tedesca ottenne 401 voti a favore, 40 in più del minimo della maggioranza di 361 su 740 seggi, ed esattamente la somma dei voti dei partiti che la sostengono: popolari, socialisti e liberali. Ma in realtà c’erano stati circa 50 franchi tiratori e von der Leyen è stata salvata dai Verdi, che con i loro hanno 53 parlamentari e hanno sostenuto la riconferma in maniera compatta, di fatto posizionandosi come una sorta di appoggio esterno.

I popolari guardano a destra

I popolari però non vogliono affatto collaborare con gli ambientalisti e anzi intendono smontare dove ancora possibile il Green Deal, e per farlo cercano il sostengo della destra dell’Aula, a partire dai Conservatori e riformisti (Ecr) di Giorgia Meloni, il gruppo di cui fa parte Fratelli d’Italia. Ma non solo. Se necessario hanno già dimostrato di essere pronti ad allearsi con la destra più radicale: I Patrioti per l’Europa di Viktor Orban, Marine Le Pen e Matteo Salvini, e anche con l’Europa delle nazioni sovrane dell’Afd tedesco.

Contro queste forze al Parlamento europeo da sempre c’è una sorta di ‘cordone sanitario’, che chiude a ogni collaborazione. Ma il Ppe ha già rotto questo cordone, creando quella che è stata denominata ‘la coalizione venezuelana’, dal fatto che per ben tre volte finora, proprio su temi legati al Venezuela, i popolari sono riusciti a far passare dei loro provvedimenti grazie al sostegno compatto della destra radicale.

Il caso Fitto

In questa situazione già complicata si inscrive l’affaire Fitto, che sta tenendo di fatto in ostaggio l’entrata in carica della nuova Commissione, prevista per il primo dicembre ma che potrebbe slittare. Cedendo alle pressioni dell’Italia, che è un Paese fondatore e uno dei più grandi e influenti del blocco, von der Leyen ha proposto per l’uomo di Meloni il ruolo di vicepresidente esecutivo.

Raffaele Fitto in audizione al Parlamento europeo - foto Alain ROLLAND © European Union 2024
Raffaele Fitto in audizione al Parlamento europeo – foto Alain ROLLAND © European Union 2024

Questa scelta è stata subito criticata da socialisti, liberali e Verdi, che lamentano che una forza che non fa parte della maggioranza a sostegno della Commissione (e per di più di destra radicale), non dovrebbe avere un incarico così prestigioso. Ma in fondo Fitto è un candidato moderato, un democristiano ex Forza Italia, non certo un estremista all’interno di FdI. Ma allora perché tanto accanimento contro di lui? Liberali e socialisti chiedono una garanzia che i conservatori non vengano tirati dentro la maggioranza e che von der Leyen (e quindi i popolari) non pensino in futuro di proporre interventi legislativi contando sul loro supporto.

Il regolamento sulla deforestazione

Nelle dichiarazioni von der Leyen queste garanzie le ha date, ma a complicare le cose c’è il voto su un provvedimento legislativo quasi sconosciuto, che però sta mandando in subbuglio il Parlamento europeo. Si tratta del voto sulla richiesta della Commissione di posticipare di un anno (dal 2025 al 2026), l’entrata in vigore del nuovo regolamento per combattere la cosiddetta ‘deforestazione importata’, una scelta su cui c’è ampio consenso in Aula.

Il problema è che proprio ora, mentre i deputati sono chiamati a dare la fiducia ai commissari della nuova squadra di von der Leyen, il Ppe ha proposto degli emendamenti al regolamento sulla deforestazione allo scopo di indebolirlo. E lo ha fatto contro il parere dei suoi alleati socialisti e liberali, e sperando di ottenere i voti della ‘coalizione venezuelana’.

Tutti contro tutti

Questo ha creato ancora più diffidenza ed esacerbato il dibattito sulla Commissione. E così ormai a Bruxelles nessuno si fida più di nessuno e il via libera a Fitto e agli altri cinque vicepresidenti è stato congelato. Così come è stato congelato il giudizio sull commissario ungherese Olivér Várhelyi di Fidesz, con i partiti che minacciano ritorsioni in caso di bocciatura di uno dei loro esponenti. Se Fitto cadrà, con lui cadranno anche la socialista spagnola Teresa Ribera e magari anche il liberale francese Stéphane Séjourné. Se il buongiorno si vede dal mattino, la nuova legislatura europea si preannuncia una delle più litigiose di sempre.

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