Il 10 luglio 2025 si è svolto ad Abu Dhabi un incontro storico tra il presidente azero Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. Per la prima volta le due parti hanno discusso a porte chiuse, senza la partecipazione di mediatori internazionali, né da parte della Russia né dell’Occidente, affrontando direttamente le principali questioni bilaterali in una maratona diplomatica durata oltre cinque ore
L’agenda dell’incontro ha incluso temi fondamentali come la firma di un accordo di pace, la normalizzazione delle relazioni interstatali, la delimitazione e demarcazione dei confini, nonché il futuro del controverso corridoio di Zangezur, un’arteria di collegamento che dovrebbe attraversare il territorio armeno tra la parte orientale dell’Azerbaigian e l’exclave del Nakhchivan.
Intesa bilaterale, senza Mosca
Fino a poco tempo fa, sia Baku che Erevan accettavano in via teorica un’eventuale supervisione russa — attraverso l’FSB — sul transito lungo il corridoio. Ciò avrebbe garantito a Mosca un leva economica e politica sulla regione del Caucaso meridionale. Tuttavia, l’incontro di Abu Dhabi ha segnato una rottura netta con questa prospettiva.
Aliyev e Pashinyan hanno convenuto di proseguire i negoziati esclusivamente su base bilaterale, escludendo qualsiasi ruolo di mediazione esterna. Secondo l’analista Ilgar Velizade, la riunione rappresenta “un segnale di maturità e indipendenza” da parte di entrambe le leadership regionali.
Inoltre, fonti non ufficiali indicano che Erevan ha proposto di affidare la gestione logistica e il controllo dei carichi nel corridoio di Zangezur a una società commerciale internazionale, potenzialmente statunitense. L’Azerbaigian sta attualmente valutando questa opzione.
Uno spostamento degli equilibri regionali
L’apertura dei confini tra Armenia, Azerbaigian e Turchia potrebbe inaugurare nuove rotte commerciali strategiche tra il Mar Caspio e il Mar di Marmara, e tra il Mar Nero e il Golfo Persico. Questo scenario prefigura una trasformazione profonda nella geoeconomia e nella geopolitica del Caucaso meridionale, da cui la Russia appare progressivamente esclusa.
Mosca sta perdendo influenza nella regione anche a causa dell’ascesa del ruolo di attori come Turchia, Stati Uniti e Unione Europea. I paesi del Caucaso — Armenia, Azerbaigian e Georgia — guardano sempre più a Pechino e Ankara, e sempre meno a Mosca. Ne è prova, ad esempio, la recente assegnazione del progetto per la costruzione del porto georgiano di Anaklia a investitori cinesi.
Persino l’Iran, tradizionalmente alleato strategico della Russia, si oppone all’idea di un controllo russo sul corridoio di Zangezur, temendo di perdere il libero accesso al territorio armeno.
La ritirata russa dal Caucaso
I segnali di disimpegno russo nella regione si moltiplicano. Mosca ha ritirato anticipatamente le proprie truppe di peacekeeping dal Nagorno-Karabakh, mentre l’Armenia si è distanziata dalla CSTO e guarda con interesse alla SCO, rafforzando i legami con la Cina. I militari russi hanno concluso la loro missione ai confini armeni con Turchia e Iran, e Yerevan punta ora a rafforzare le proprie capacità autonome di difesa di frontiera.
Con la fine del conflitto sul Nagorno-Karabakh e la scomparsa del principale elemento di tensione tra Baku ed Erevan, la Russia ha perso gran parte della sua capacità di influenza, non potendo più giocare sulle contraddizioni regionali come in passato. Per entrambe le ex repubbliche sovietiche, Mosca non rappresenta più una metropoli, ma piuttosto un attore esterno in declino.