
Accrescere il reddito con un secondo lavoro, convertire una passione in un’impresa remunerata oppure fornire consulenze occasionali al di fuori del proprio incarico principale sono pratiche sempre più diffuse, specialmente in un panorama economico dove molti cercano nuove fonti di guadagno o maggiore soddisfazione personale, riporta Attuale.
Tuttavia, è fondamentale considerare che avviare un’attività extraprofessionale, anche se sporadica o realizzata durante il tempo libero, può comportare, se non autorizzata, conseguenze significative, particolarmente per chi lavora per la pubblica amministrazione.
Le sanzioni possono variare da semplici richiami disciplinari a licenziamenti, restituzione delle somme guadagnate o addirittura responsabilità di natura erariale. Analizziamo più a fondo quali sono le disposizioni legali e i rischi coinvolti, includendo anche il settore privato.
Quando è necessaria l’autorizzazione
Il principio è piuttosto chiaro, in particolare nel settore pubblico: chi è assunto a tempo pieno non può svolgere ulteriori lavori retribuiti senza prima richiedere e ottenere un’autorizzazione. Questo è stabilito dall’articolo 53 del Decreto legislativo 165 del 2001, che mira a prevenire conflitti d’interesse e garantire che i dipendenti si concentrino esclusivamente sulle proprie mansioni, senza compromettere l’immagine e il corretto funzionamento dell’amministrazione.
Ci sono, comunque, delle eccezioni: per esempio, i dipendenti pubblici con un contratto part-time inferiore al 50% dell’orario possono intraprendere altre attività, se compatibili. Inoltre, attività come scrivere libri, tenere conferenze, partecipare a eventi artistici o fare volontariato non necessitano di alcun benestare.
Cosa accade se non si richiede l’autorizzazione
Chi decide di avviare un’attività esterna sine comunicazione, anche se sporadica, si espone a sanzioni disciplinari. Nei casi meno gravi, si può trattare di un richiamo scritto o di una sospensione; mentre in quelli più seri, specialmente se l’attività è continuativa, concorrenziale con l’azienda o svolta durante l’orario lavorativo, si può arrivare fino al licenziamento per giusta causa.
Nell’ambito privato, il margine è più ampio ma non illimitato. Anche qui, i regolamenti aziendali o i contratti collettivi possono vietare o limitare l’esercizio di ulteriori lavori, soprattutto se compromettono il rapporto di fiducia o creano concorrenza diretta.
Rischi economici e legali
Le sanzioni disciplinari non sono l’unico aspetto da considerare. In alcune situazioni, il dipendente potrebbe essere obbligato a restituire i compensi percepiti per l’attività non autorizzata o persino a risarcire eventuali danni all’amministrazione. Se, per esempio, sono state utilizzate strutture, mezzi o tempo di lavoro per l’attività esterna, il rischio di sanzioni aumenta considerevolmente.
Ma non finisce qui: nei casi più gravi, se l’attività “non autorizzata” ha causato un danno erariale, la Corte dei Conti potrebbe intervenire avviando azioni di responsabilità. In situazioni estreme, potrebbe configurarsi anche un reato penale, come abuso d’ufficio o frode, specialmente se si è fatto un uso improprio della propria posizione o delle risorse pubbliche.
In conclusione, avere un secondo lavoro non è vietato in assoluto, ma deve essere compatibile con i doveri del proprio impiego principale e, quando richiesto, deve essere autorizzato. Ignorare queste normative può avere conseguenze gravi, non solo sul piano disciplinare, ma anche economico e legale.