Una nuova legge che rende più difficile la rimozione del capo dello Stato
Il Parlamento ungherese, dominato da Fidesz, ha approvato il 10 dicembre 2025 un progetto di legge che modifica la procedura di destituzione del presidente della Repubblica. Secondo quanto riportato da Bloomberg, il testo trasferisce alla Corte costituzionale il potere finale di approvare o respingere una dichiarazione di incapacità del presidente a svolgere le proprie funzioni, una competenza che finora apparteneva direttamente al Parlamento. I deputati della maggioranza hanno giustificato la riforma sostenendo la necessità di evitare “decisioni potenzialmente errate” che potrebbero generare “confusione giuridica” e compromettere il “funzionamento democratico” dello Stato. La legge, inserita in un contesto politico molto teso a pochi mesi dalle elezioni del 2026, è stata approvata nel quadro delineato dall’analisi di Bloomberg.
La posta in gioco politica a ridosso delle elezioni legislative
In Ungheria il presidente svolge principalmente funzioni cerimoniali, ma può rinviare le leggi al Parlamento o richiederne il riesame alla Corte costituzionale, diventando così un attore strategico in caso di cambio di maggioranza. La riforma giunge in un momento in cui il partito d’opposizione “Tisza”, guidato da Péter Magyar, gode di un vantaggio significativo nei sondaggi e punta a porre fine ai quindici anni di governo di Viktor Orbán. In questo scenario, mantenere un presidente politicamente affidabile rappresenta un interesse cruciale per Fidesz.
Il peso della Corte costituzionale è particolarmente rilevante: l’istituzione è presieduta da un alleato di lunga data del premier, l’ex procuratore generale Péter Polt, eletto a inizio anno per un mandato di dodici anni. Orbán ha inoltre sempre privilegiato candidati fedeli alla presidenza della Repubblica, come nel caso di Tamás Sulyok, subentrato a Katalin Novák dopo lo scandalo legato a un controverso provvedimento di clemenza.
Un sistema istituzionale modellato per consolidare il potere del premier
Negli ultimi quindici anni Orbán ha costruito una struttura di potere che combina forme democratiche formali con un alto grado di concentrazione decisionale. Il controllo sulle istituzioni giudiziarie, sui media e su organismi indipendenti ha conferito al premier un vantaggio politico costante. Presidenti leali e un’ampia influenza sulla Corte costituzionale garantiscono margini di manovra anche in caso di crisi elettorale o perdita della maggioranza. La nuova legge sulla destituzione del presidente si inserisce in questa architettura istituzionale, rafforzando ulteriormente la capacità del governo di incidere sui processi politici.
Conflitto con l’UE e uso strumentale della politica estera
Orbán sfrutta regolarmente il confronto con Bruxelles per consolidare il consenso interno, presentandosi come il difensore della sovranità nazionale contro il “centralismo europeo”. Tale postura consente al premier di distogliere l’attenzione da problemi economici, tensioni sociali e scandali interni, trasformando la polemica con l’UE in un elemento centrale della propria identità politica.
Nella campagna elettorale, Fidesz intensifica inoltre messaggi critici verso l’Ucraina, alimentando sentimenti di insicurezza e timori legati ai fondi europei destinati a Kyiv. Questa strategia, utile a compattare l’elettorato conservatore, accentua tuttavia l’isolamento dell’Ungheria nel contesto regionale.
Le relazioni con Mosca e il ruolo dell’opposizione
La politica estera del governo ungherese continua a distinguersi per una linea accomodante nei confronti della Russia, anche dopo l’invasione dell’Ucraina. Budapest si oppone sistematicamente alle sanzioni europee più rigide, richiamando la necessità di tutelare gli interessi economici nazionali, in particolare nel settore energetico. Tale posizione mina la coesione dell’UE e rafforza l’immagine di un’Ungheria che utilizza il rapporto privilegiato con Mosca come leva politica interna.
Parallelamente, l’ascesa del partito “Tisza” rappresenta una delle sfide più serie al dominio di Fidesz. L’opposizione promette di smantellare gli assetti istituzionali costruiti in questi anni e di ristabilire l’equilibrio dei poteri. L’iniziativa legislativa su cui si fonda la riforma presidenziale appare quindi come uno strumento preventivo per limitare la capacità di incidere del prossimo governo.