Manifestazioni di massa e crisi di fiducia nelle istituzioni
Il 13 dicembre 2025 migliaia di persone hanno marciato nel centro di Budapest fino all’ufficio del primo ministro sulla collina del Castello sotto lo slogan “Proteggiamo i bambini”. I manifestanti hanno portato fiaccole e peluche come simbolo di solidarietà con i minori vittime di abusi in una struttura statale. La protesta si è svolta in un clima di crescente indignazione pubblica e ha riacceso una crisi di fiducia già profonda nei confronti delle autorità ungheresi.
Il corteo ha rappresentato non solo una reazione emotiva agli ultimi sviluppi giudiziari, ma anche un segnale politico diretto al governo. Per molti partecipanti, la questione degli abusi sui minori è diventata il simbolo di un sistema di controllo fallimentare e di responsabilità politiche mai chiarite.
Arresti e indagini sugli abusi nei centri statali
La procura ungherese ha annunciato l’arresto di sette persone legate a un centro statale per minori a Budapest. Nei fascicoli dell’inchiesta sono descritti episodi di violenze fisiche perpetrate dal personale contro adolescenti ospitati nella struttura. Parallelamente, è in corso un’indagine sull’ex direttore del centro, sospettato di violenza sessuale sui bambini.
La diffusione di un video che mostrava un dipendente mentre maltrattava un minore, resa pubblica dall’attivista dell’opposizione Péter Juhász, ha accelerato la crisi. In seguito alle immagini, il direttore ad interim si è dimesso e il governo ha disposto che tutte e cinque le strutture correttive per minori passassero sotto il controllo diretto della polizia.
La risposta del governo e le ammissioni ufficiali
Il capo di gabinetto del primo ministro, Gergely Gulyás, ha riconosciuto che il precedente sistema di gestione “non era sufficiente” e non era riuscito a prevenire i reati. Questa ammissione ha rafforzato la percezione pubblica di una lunga inerzia istituzionale, particolarmente dannosa per l’esecutivo in un momento di forte pressione politica.
Per l’opposizione, il trasferimento della supervisione alla polizia è la prova di una responsabilità politica mancata. La decisione, pur presentata come misura di emergenza, ha alimentato ulteriormente le critiche contro il governo Orbán.
Un precedente che pesa: il caso Bicske
Gli eventi attuali si inseriscono in una sequenza di scandali simili. Nel febbraio 2024 il paese era stato scosso dal caso della grazia presidenziale legata a un istituto per minori a Bicske. La grazia non era stata concessa all’autore diretto degli abusi, ma a una persona condannata per aver contribuito a coprirli.
La reazione pubblica fu tale da costringere alle dimissioni la presidente Katalin Novák e portare conseguenze politiche anche per l’allora ministra della Giustizia Judit Varga. Le proteste di dicembre a Budapest vengono ora lette come la continuazione di quella stessa crisi di fiducia mai risolta.
L’opposizione alza il tono contro Orbán
La marcia del 13 dicembre è stata guidata da Péter Magyar, leader della Tisza e principale sfidante di Orbán nell’attuale ciclo elettorale. Magyar ha chiesto apertamente le dimissioni del primo ministro, collegando lo scandalo degli abusi alla responsabilità diretta del governo.
Per l’esecutivo, il rischio è che le proteste si trasformino in un lungo referendum politico sulla capacità dello Stato di proteggere i bambini. È in questo contesto che il governo cerca di evitare che la mobilitazione diventi permanente.
Lo spostamento dell’attenzione su Bruxelles e l’Ucraina
Mentre Budapest protestava per gli abusi nei centri statali, il principale messaggio pubblico di Viktor Orbán si è spostato sul confronto con l’Unione europea e sul tema dell’Ucraina. Invece di spiegare perché per anni le violenze siano rimaste impunite, il premier ha concentrato la comunicazione su quelli che definisce “pericolosi” e “illegali” passi di Bruxelles riguardo ai beni russi congelati.
Orbán ha definito il meccanismo europeo di congelamento a lungo termine degli asset russi come una violazione del diritto, affermando che l’UE starebbe “oltrepassando il Rubicone” e promettendo di “ristabilire la legalità”. Il messaggio appare calibrato per rafforzare uno scontro esterno nel momento di massima tensione interna.
I beni russi e la strategia elettorale
L’Unione europea ha deciso di congelare circa 210 miliardi di euro di beni sovrani russi “per tutto il tempo necessario”, evitando così il ricatto del rinnovo semestrale delle sanzioni e aggirando potenziali veti, in particolare quello ungherese. Questa scelta riduce la capacità di Budapest di usare il proprio voto come leva politica.
Orbán continua però a utilizzare il tema nei comizi pre-elettorali in vista delle legislative, presentando la questione come una battaglia contro Bruxelles più che come un dibattito sullo stato di diritto. Secondo il premier, l’Ungheria sarebbe stata “ignorata”, prova che “l’illusione dello stato di diritto a Bruxelles si è dissolta”.
La retorica della “guerra” e i rischi politici
Nelle sue dichiarazioni Orbán ha spinto oltre la retorica, sostenendo che l’uso dei beni russi congelati per sostenere l’Ucraina equivarrebbe a una “dichiarazione di guerra”. Mosca ha definito tali piani una “rapina” e ha minacciato una “reazione durissima”, elementi che rafforzano narrazioni già diffuse dal Cremlino.
Nel pieno delle proteste interne, il primo ministro ungherese sembra così puntare su una polarizzazione esterna per mobilitare il proprio elettorato. Una strategia che mira a spostare il dibattito dai fallimenti interni alle presunte minacce esterne, ma che rischia di approfondire ulteriormente le fratture politiche e sociali nel paese.