Il Caso Almasri e Le Ripercussioni Politiche
Il governo continua a trovarsi in difficoltà riguardo al caso Almasri, con l’opposizione che attacca frontalmente la premier per una presunta manovra politica orchestrata dai magistrati. Questa accusa si basa sull’idea che il sistema giudiziario stia agendo contro la maggioranza, in parte come effetto della rapida avanzata della separazione delle carriere. Questa interpretazione, proposta dalla premier, è stata considerata “eversiva” dalla leader del Pd, Elly Schlein, che ha sottolineato: “Insinuare che i giudici agiscano non per tutelare la legge, ma per motivi politici, rappresenta un atteggiamento eversivo. E non è la prima volta”.
Meloni, rispondendo via social media, ha difeso la sua posizione, affermando che a sinistra esiste un’unica strategia: tentare di “eliminare gli avversari attraverso mezzi giudiziari”, poiché hanno da tempo abbandonato la via democratica. Giuseppe Conte, leader del M5S, ha contestato la premier, dichiarando che “Meloni ha fallito in tutto” e ora cerca di giustificarsi sui social e in televisione, rimembrando le stesse lamentele dei governi di cui ha fatto parte, con la frase “ho i giudici contro”. Anche l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) è intervenuta, affermando che “i magistrati non fanno politica” e svolgono il loro lavoro nonostante le insidie e le minacce. Negare questa verità è sintomo di una scarsa comprensione della separazione dei poteri.
Ad ogni modo, il termine della sessione parlamentare, che riprenderà a settembre, si conclude con un ulteriore scontro aspro riguardante la giustizia. Questa situazione si ripresenterà quando si tratterà di esaminare la separazione delle carriere in commissione e di analizzare le richieste di procedere nei confronti dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, nonché del sottosegretario Alfredo Mantovano. È molto probabile che il Parlamento bocci le richieste dei giudici, ma Meloni, oltre a cercare nuove strategie per difendere l’operato del governo – considerato “grave” dalla leader dem se l’esecutivo decidesse di ricorrere al segreto di Stato – sta anche esplorando modi per tutelare la capo di gabinetto del ministro Carlo Nordio, Giusy Bartolozzi, la quale non è sotto indagine. Si ritiene in ambienti governativi che l’immunità di Nordio possa essere estesa a lei, in virtù della legge 219-1989, che disciplina le circostanze in cui si possono configurare reati in concorso, incluso il caso di Bartolozzi. Questa legge stabilisce che, qualora un reato venga commesso da più soggetti, il Parlamento può escludere un concorrente dalla negazione di responsabilità, se non ricorrono le condizioni previste dalla legge costituzionale 1-1989.
Matteo Renzi, tuttavia, esprime un’opinione differente, avvertendo: “La legge su questo è chiara. La garanzia costituzionale si applica alla Premier e ai Ministri, ma non ai capi di gabinetto”. Secondo Renzi, essendo il capo di Gabinetto il ‘braccio operativo’ del ministro, qualsiasi valutazione sull’operato del ministro include automaticamente anche chi collabora con lui. La Procura non potrà quindi indagare Bartolozzi, ma il suo punto di vista differente solleva preoccupazioni su una potenziale crisi istituzionale. Se Nordio dovesse essere “scagionato” dal Parlamento, si estinguerebbe anche la possibilità di un nuovo fascicolo “Almasri bis” in Procura. In tal caso, i membri del governo coinvolti potrebbero essere chiamati a deporre, ma solo come testimoni.