“Dal covid sono state vendute 2 milioni e mezzo di auto in meno, che vuol dire 6 o 7 stabilimenti di produzione. Ma il peggio deve ancora venire”. Lo ha dichiarato in un’intervista a Today.it il direttore generale Anfia, Gianmarco Giorda, preoccupato per il calo della produttività in Germania. Risollevare il settore è possibile, ecco come
Osi cambia o si chiude. Per il settore automotive gli spazi di manovra sono ridotti visto che la transizione verso le auto green non sta andando come doveva. In Europa Volkswagen – marchio storico che in 87 anni non ha mai chiuso uno stabilimento – mostra i primi segni di cedimento, mentre in Italia la situazione potrebbe deflagrare a fine anno con la fine della cassa integrazione.
Proviamo a fare il punto della situazione e a ragionare sulla fine del motore a combustione entro il 2035 con il direttore generale Anfia, Gianmarco Giorda. Cosa fare per salvare il comparto auto italiano? Torino rischia davvero di diventare come la città fantasma di Detroit?
Cosa ci aspetta
È da anni che in Italia il settore automotive registra numeri deludenti, ma questa volta la situazione sembra essere più grave del previsto. Iniziano a soffiare venti di burrasca persino in Germania, nazione che da sempre eccelle nella produzione di auto di alta gamma. Ma Berlino è anche il nostro più grosso cliente in termini di esportazioni, specialmente nel settore della componentistica auto e questo la dice lunga su cosa ci aspetta.
“Probabilmente il peggio deve ancora venire – conferma in un’intervista a Today.it il direttore generale Anfia, Gianmarco Giorda -. Siamo abbastanza preoccupati per i prossimi mesi perché ci sono una serie di fattori concomitanti che stanno creando molta incertezza”, come la situazione geopolitica, il caro energia e i tassi d’interesse elevati. “Dal covid sono state vendute 2 milioni e mezzo di auto in meno, che vuol dire 6 o 7 stabilimenti di produzione. Ma quello che spaventa di più è il calo della produttività in Germania, che sta avendo e avrà nei prossimi mesi un impatto molto negativo in termini di ordini su aziende italiane che sinora hanno venduto con successo a costruttori o grandi componentisti tedeschi”.
Torino come Detroit?
A preoccupare non è solo il rallentamento della Germania perché in Italia quando si parla di auto si guarda con apprensione anche ai volumi produttivi di Stellantis, l’unico grande costruttore del Paese. “Sono in calo da un po’ di anni, ma nei primi mesi del 2024 la flessione rispetto all’anno passato è molto evidente”.
Insomma Torino potrebbe diventare come la città fantasma di Detroit dopo la grande crisi dell’auto del 2008. Tanto per ricordare la motor city americana ha subito un massivo spopolamento dopo la chiusura della storica industria automobilistica della Ford, la bancarotta di Chrysler e General Motors, diventando soprattutto nei sobborghi preda di delinquenti e tossicodipendenti (nella foto sotto gli stabilimenti abbandonati della Packard Motor Car Company). Attualmente la popolazione è di circa 600mila abitanti contro i quasi 2 milioni degli anni ’50.
L’ipotesi è sicuramente azzardata ma in Piemonte più di un lavoratore della componentistica su due è a rischio licenziamento, 25mila in tutto (40mila in tutta Italia). A questi potrebbero aggiungersi molti operai di Mirafiori, lo storico stabilimento a Sud di Torino dove è nata la Fiat. Oggi conta 12mila dipendenti, produce la 500 elettrica Abarth e Fiat e le Maserati GranTurismo e GranCabrio. Peccato però che fino a settembre ha realizzato solo 18.500 veicoli elettrici contro i 52mila dello stesso periodo 2023, con un calo dell’83%.
Le difficoltà di Mirafiori e dell’indotto trascinano nell’incertezza anche tutti quei lavoratori che ruotano attorno a questa grande realtà, dagli addetti alle pulizie a quelli della sicurezza, tanto per citarne alcuni, ma anche bar, ristoranti e piccoli negozi che vivono grazie ai lavoratori dell’auto. Chissà se Mirafiori riuscirà a risollevarsi con la 500 ibrida, la cui produzione dovrebbe essere avviata entro il 2026. Nel frattempo si continua con la cassa integrazione, scattata da inizio anno e protrattasi a singhiozzo fino a metà ottobre, stando alle ultime comunicazioni.
“Difficile dire quali sono le aree più a rischio del nostro Paese, ma in generale quasi tutti gli stabilimenti sono utilizzati sotto la propria capacità di produzione”, ha chiosato il direttore Anfia. Per evitare il peggio il governo si è messo alla ricerca di un secondo produttore. “Siamo molto aperti a un secondo produttore che potrebbe essere verosimilmente cinese, a patto che porti forniture anche per l’indotto, che faccia lavorare anche la componentistica locale e non sia solo una fabbrica di assemblaggio di pezzi che arrivano dalla Cina”.
I numeri della crisi in Italia
Le grandi case automobilistiche europee non riescono a reggere la concorrenza della Cina. Detengono un know how invidiabile sulle batterie, che sono il cuore pulsante dell’auto elettrica, e hanno costi di produzione molto più bassi dei nostri. In Italia poi le vendite non decollano, perché i prezzi delle auto green sono troppo alti in rapporto agli stipendi.
Non ci salvano nemmeno gli incentivi. Basti sapere che nel mese di agosto le vendite di auto elettriche sono crollate del 40,6% rispetto allo scorso anno. Ma a deludere è tutto il mercato auto: lo scorso mese le immatricolazioni hanno segnato una contrazione del 13,4%; la produzione automotive a luglio una flessione a doppia cifra per il quinto mese consecutivo, del 24,8%; l’indice di fabbricazione di autoveicoli sempre a luglio un calo del 35,1% (dati Anfia).
In un mese in Italia sono state prodotte solo circa 23mila unità, il 54,7% in meno rispetto a luglio 2023 mentre le autovetture prodotte da gennaio sono 225mila, il 35,5% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Altro che l’obiettivo di un milione di auto auspicato dal governo.
Non ci salvano nemmeno gli incentivi
“Sugli incentivi stiamo lavorando a nuove ipotesi per il 2025. Sicuramente per avere una maggiore diffusione di auto elettriche in questi anni bisogna incentivarne l’acquisto. Vanno ripensati, magari resi strutturali per un paio d’anni. Stiamo ragionando per fare in modo che siano un po’ più efficaci e che consentano di raggiungere una quota di mercato più alta, perché oggi siamo fanalino di coda in Europa”.
Secondo Giorda però non possiamo puntare tutto sull’elettrico, dobbiamo anche sviluppare tecnologie alternative “come i carburanti sintetici e biocarburanti, che hanno emissioni molto basse e non inquinano. In questo modo si potrebbe continuare a produrre il motore a combustione interna e si salverebbero pezzi della filiera più tradizionale della componentistica che altrimenti dal 2035 o anche prima non avrebbero più la possibilità di esistere”. Come diceva Michael Steiner, capo dell’R&D di Porsche, “il problema non è il motore a combustione interna, ma cosa ci bruci”.
Possibili soluzioni alla crisi
Di fronte a uno scenario del genere la crisi sembra inevitabile e così c’è chi invoca un rinvio dello stop alle auto a benzina e diesel fissato al 2035, ipotesi impensabile fino a qualche tempo fa. “Le problematiche del settore auto sono in parte anche slegate dalle decisioni Ue. Puntare solo sull’elettrico ha sicuramente creato delle incertezze tra i costruttori, ma noi più che rimandare la data del 2035 siamo con il ministro Urso nell’anticipare al 2025 la possibilità di rivedere la normativa”. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, infatti, ha fatto sapere che solo nel 2026 si potrà rivedere quanto già deciso. Secondo il direttore Anfia però non ha senso perdere un altro anno, bisognerebbe valutare il prima possibile quali saranno le ripercussioni economiche e sociali di una tale decisione, visto che a rischio ci sono migliaia di imprese e di lavoratori.
“Più che spostare in avanti la data del 2035 siamo per rivedere la metrica del calcolo della Co2, considerando non soltanto quello che esce dallo scarico ma tutto quello che riguarda la realizzazione del prodotto finale. Una analisi del genere lascerebbe spazio anche ad altri carburanti e permetterebbe ancora l’utilizzo dei motori a combustione interna”. Dello stesso parere il presidente di Unindustria Cassino, Francesco Borgomeo, secondo il quale “il motore elettrico così imposto è una truffa”, ricordando quanto detto 7 anni fa da Sergio Marchionne. Il manager visionario di Fiat Chrysler morto nel 2018 sosteneva che era un controsenso produrre auto elettriche o suoi componenti in stabilimenti che utilizzano combustibili fossili. Per non parlare poi del fatto che India, Stati Uniti e Cina sono responsabili di più della metà delle emissioni di Co2 a livello globale (vedi foto sopra), con Pechino che inquina 4 volte di più dell’Europa. Ma questo è tutto un altro discorso.