Dalla Hezbollah agli iracheni: la rete alleata di Teheran è in crisi ma rimane in grado di colpire

15.06.2025 07:45
Dalla Hezbollah agli iracheni: la rete alleata di Teheran è in crisi ma rimane in grado di colpire

La crisi dei proxy iraniani in Medio Oriente

Dall’inviato in loco, Istanbule – L’Iran ha assistito alla distruzione della sua “profondità strategica” a causa del potere tecnologico israeliano e ha visto indebolite le sue milizie regionali. Nonostante ciò, ha deciso di proseguire nella lotta. Cosa può ancora ottenere Teheran dai suoi alleati? La Siria, un tempo una collaboratrice, è diventata un’opposizione agli ayatollah. In Libano, Hezbollah, il gruppo militare di punta, ha subito perdite significative. Anche gli Houthi in Yemen sono stati minati, mentre restano relativamente intatte le milizie sciite in Iraq. Non c’è più nessuno in grado di fornire il supporto missilistico su cui si fondava la dottrina dell’“asse della resistenza”, quindi?

Hezbollah è stata la principale forza del fronte filoiiraniano, situata proprio al confine con l’“entità sionista”. Eppure, ora ha un importanza limitata: ha contato almeno duemila tra civili e miliziani tra le sue perdite, e le sue linee di comando sono state decimate. Dei 200 mila missili inizialmente disponibili, ne ha conservati meno di 10 mila e dei 100 mila soldati, solo 20 mila rimangono. All’Iran resta la possibilità di pianificare un’azione via terra, più facilmente dalle Alture del Golan rispetto al Sud del Libano, pesantemente bombardato da Tel Aviv. Un’operazione simile a quella del 7 ottobre 2023 di Hamas potrebbe avere luogo e minare ulteriormente l’immagine di sicurezza del premier Netanyahu. Per questo motivo, Israele sta rafforzando le proprie truppe al confine con il Libano. Azioni via mare e il lancio di missili sono rischiose e le operazioni di tipo commando (definite terrorismo a seconda del punto di vista) sono complicate in uno stato con una forte militarizzazione come Israele.

In modo simile, la forza degli Houthi in Yemen è stata gravemente compromessa. Dopo aver raggiunto un accordo con Donald Trump, hanno continuato a subire bombardamenti, ma non smettono di lanciare missili e droni lungo il Mar Rosso verso Israele. Teheran è riuscita a fornirli con armi più potenti, ma si tratta di quantità ridotte. La distanza geografica limita le possibilità di ulteriori attacchi da parte degli Houthi. Le milizie filo-iraniane in Iraq sono numerose, con un gruppo di miliziani fanatici disposti a compiere atti estremi, contando circa 80 mila soldati. Tuttavia, potrebbero recare maggiore danno agli americani presenti in Iraq piuttosto che a Israele.

Tuttavia, gli ayatollah non sono interessati ad ampliare il numero dei loro nemici scatenando i loro proxy contro gli Stati Uniti. Questo perché Washington ha accesso alle migliori armi anti-bunker disponibili. Le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio e i materiali del programma nucleare sono protetti da strati di cemento armato, rendendo difficile per Israele colpirli dall’alto, senza provocare chi potrebbe realmente farlo.

Un altro elemento importante è il fattore tempo. L’Iran è convinto di avere la capacità di subire una sconfitta perché crede di avere abbastanza tempo per una futura rivincita. Ci vorranno anni per il rafforzamento demografico, economico e tecnologico, ma l’obiettivo finale è quello di sfidare nuovamente l’“entità sionista”. La costruzione di un’arma nucleare potrebbe richiedere settimane, piuttosto che anni. In tale contesto, si inserisce la recente visita a Beirut di Abbas Araghchi, il ministro degli Esteri iraniano. Nascosto dai droni israeliani, ha avuto un incontro cruciale con Naim Qassem, leader di Hezbollah. Secondo il quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, ha dichiarato che la sua “missione” ora è quella di sopravvivere, anche a costo di rinunciare all’uso della forza. “Le armi possono essere riacquisite, la popolarità no”, ha affermato. La pazienza è fondamentale, il futuro è dalla loro parte.

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