Dieci anni dopo la morte di Alan Kurdi: 28.000 vittime nel Mediterraneo, tra cui 3.500 bambini

02.09.2025 10:55
Dieci anni dopo la morte di Alan Kurdi: 28.000 vittime nel Mediterraneo, tra cui 3.500 bambini

Dieci anni dopo la tragedia di Alan Kurdi: il Mediterraneo continua a essere un cimitero per i migranti

Il 2 settembre 2015, il corpo di Alan Kurdi, un bambino curdo siriano di tre anni, venne trovato sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, in giù con la faccia, dopo aver tentato di fuggire dalla guerra in Siria. Il suo tentativo di raggiungere l’isola greca di Kos a bordo di un gommone sovraffollato risultò in una tragedia, con la famiglia che pagò oltre 5.000 dollari per quel breve viaggio. Ora, dieci anni dopo, il Mediterraneo ha visto la morte di 28.000 persone in incidenti simili, di cui circa 3.500 erano bambini, riporta Attuale.

Il corpo di Alan e di altre vittime furono scoperti all’alba da un barista che lavorava in un hotel di fronte alla spiaggia. Mehmet Çıplak, il primo poliziotto arrivato sul luogo, ricordò il momento come straziante quando, girando il corpo, comprese che il bambino era morto. L’immagine di Alan, scattata dalla fotografa Nilüfer Demir, divenne il simbolo del fallimento delle politiche migratorie europee.

In quel periodo, la guerra in Siria e le aggressioni dell’Isis costrinsero milioni di famiglie a intraprendere viaggi disperati in cerca di sicurezza. Mentre molti trovarono rifugio in paesi come Germania, Danimarca e Svezia, la famiglia Kurdi sperava invano di ricevere asilo politico in Canada. La loro storia catturò l’attenzione globale, evidenziando il dolore e la compassione che circondano la crisi dei rifugiati.

Oggi, la guerra non è finita e il Mediterraneo rimane una trappola mortale. Gli oltre 2 milioni di rifugiati a Gaza sono intrappolati e costretti a vivere in condizioni disumane, mentre le guerre in Medio Oriente e in Ucraina continuano a mietere altre vite innocenti. Tima Kurdi, zia di Alan, ha sottolineato l’assenza di scelte per coloro che fuggono dalla guerra, paragonando la situazione dei gazawi a quella di famiglie ucraine scampate ai bombardamenti.

Negli ultimi dieci anni, il Mediterraneo ha registrato 28.000 vittime nei naufragi, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Ogni giorno, quasi un bambino ha perso la vita nel tentativo di attraversare queste acque in cerca di sicurezza e dignità.

Il grido di “Mai più” che si alzò nel 2015 riecheggia oggi senza risposta. La zia di Alan ha espresso il suo dolore nel vedere quanti innocenti hanno perso la vita e ciò che il mondo ha fatto in seguito all’immagine del suo nipote tragicamente affogato.

In risposta alla mancanza di azioni efficaci, la società civile ha creato una flotta di navi delle ONG per tentare di salvare coloro che si avventurano in mare. Le organizzazioni, alcune intitolate ad Alan, continuano a lottare per salvare vite, ostacolate però da governi che spesso vedono le operazioni di salvataggio come manovre politiche.

Infine, mentre una mobilitazione internazionale per la Flottiglia Sumud si prepara a salpare verso Gaza, si spera che il mondo ricordi la sofferenza di tutte le vittime come Alan Kurdi e lavori affinché simili tragedie non si ripetano mai più.

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