Proposte di sanzioni europee contro Israele in risposta ai conflitti a Gaza
La Commissione Europea ha proposto sanzioni e misure commerciali contro Israele, mirate a esercitare pressione sul governo del primo ministro Benjamin Netanyahu in risposta ai crimini e agli abusi commessi nella Striscia di Gaza. Tuttavia, l’approvazione di tali misure si prospetta difficile, poiché alcuni paesi europei, tra cui Germania e Italia, si oppongono a decisioni che potrebbero danneggiare i loro rapporti con Israele, riporta Attuale.
Le proposte, non ancora ufficialmente approvate, sono state descritte con preoccupazione in Israele. Il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha accusato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, di voler «aiutare» Hamas, mentre Netanyahu ha avvertito che, di fronte al rischio di isolamento internazionale, Israele deve diventare una «super Sparta», centrale militarmente e autarchica. Tuttavia, se attuate, le sanzioni europee apparirebbero relativamente blande.
La misura principale in discussione è la sospensione del trattato di associazione vigente dal 2000, che abolisce i dazi su parte delle merci scambiate tra Israele e l’Unione Europea. La sospensione implicherebbe il ritorno a dazi bassi, paragonabili a quelli applicati ai paesi senza trattati di libero scambio, stimati intorno ai 227 milioni di euro all’anno. Sebbene questa somma sia significativa, non comporterebbe un grave danno per l’economia israeliana. Inoltre, come notato dal giornalista David Carretta nella sua newsletter Il Mattinale Europeo, un’eventuale reazione da parte di Israele con misure simili potrebbe svantaggiare maggiormente le aziende europee.
Per la sospensione del trattato è richiesto il voto a maggioranza qualificata del Consiglio Europeo, che richiede l’approvazione di almeno 15 dei 27 Stati membri e una rappresentanza di almeno il 65% della popolazione dell’Unione. Attualmente, raggiungere tale maggioranza risulta complicato senza il sostegno della Germania e dell’Italia, due tra i paesi più popolosi. Tuttavia, né Berlino né Roma sembrano disposti ad accettare le misure, mentre altri Stati come Francia e Spagna si mostrano favorevoli.
In Germania, dove la politica è tradizionalmente filoisraeliana per motivi storici, il governo di Friedrich Merz (CDU, centrodestra) teme ripercussioni interne se dovesse adottare misure percepite come ostili a Israele. Il mese scorso, Merz ha annunciato una sospensione parziale della vendita di armi a Israele, ma si è trovato ad affrontare una piccola rivolta interna nel suo partito. Anche la presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha mantenuto posizione filoisraeliani, sebbene abbia espresso critiche sempre più forti riguardo le operazioni militari israeliane a Gaza negli ultimi mesi.
Le posizioni sui temi in discussione non sembrano essere di fatto cambiate, come osservato da Kaja Kallas, Alta rappresentante dell’Unione per la politica estera: «Anche se l’opinione pubblica all’interno degli Stati membri sta cambiando a causa delle sofferenze a Gaza, penso che le linee politiche siano rimaste esattamente le stesse».
Un’altra misura proposta dalla Commissione include sanzioni contro Itamar Ben-Gvir, ministro della Pubblica sicurezza, e Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, insieme a misure contro alcuni gruppi di coloni particolarmente violenti. Le opinioni sul collegamento di queste sanzioni variano, e l’Italia sembra aperta a discussioni al riguardo. Tuttavia, l’unanimità del Consiglio Europeo è richiesta per l’approvazione, il che complica ulteriormente il processo, poiché alcuni paesi molto vicini a Israele, come l’Ungheria, potrebbero porre il veto.
Infine, la Commissione ha proposto anche la sospensione di un programma di aiuti bilaterali volto a finanziare progetti di ricerca e associazioni del terzo settore israeliano, che vale 14 milioni di euro. Questa misura esenterebbe alcune ONG significative, compreso Yad Vashem, l’ente israeliano per la Memoria della Shoah. Sebbene ci siano maggiori possibilità di approvazione per questa misura, essa rappresenterebbe un risultato minore sia in termini economici che simbolici.