Due anni di guerra in Sudan. MSF: “È la più grave crisi umanitaria del mondo, ma è dimenticata da tutti”

15.04.2025
Due anni di guerra in Sudan. MSF: “È la più grave crisi umanitaria del mondo, ma è dimenticata da tutti”
Due anni di guerra in Sudan. MSF: “È la più grave crisi umanitaria del mondo, ma è dimenticata da tutti”

Il Sudan entra nel suo terzo anno di guerra. Un conflitto brutale, combattuto tra le Forze di Supporto Rapido (RSF) e le Forze Armate Sudanesi (SAF), che sta schiacciando la popolazione civile. Vittime di violenze sistematiche, bombardamenti incessanti, milioni di persone sono state costrette alla fuga, senza accesso a cibo, acqua potabile o cure mediche essenziali. Il punto con Medici Senza Frontiere.

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Mentre il mondo guarda altrove, il Sudan entra nel suo terzo anno di guerra. Combattuto tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), il conflitto ha devastato il tessuto sociale del Paese, lasciando dietro di sé milioni di vittime invisibili, soprattutto tra i civili. In questi due anni, infatti, entrambe le fazioni hanno condotto attacchi indiscriminati su aree densamente popolate, seminando tra la popolazione e terrore. Le RSF e i loro alleati sono stati accusati di crimini atroci: stupri sistematici, esecuzioni sommarie, rapimenti e occupazione di strutture sanitarie. Entrambe le parti hanno bloccato i convogli umanitari, assediato città e distrutto infrastrutture civili essenziali come ospedali e impianti idrici.

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Le conseguenze sono state disastrose: il 60% della popolazione – oltre 20 milioni di persone – necessita oggi di assistenza umanitaria. In diverse regioni del Sudan, la carestia è una realtà certificata, rendendo il Paese l’unico luogo al mondo dove tale stato d’emergenza è ufficialmente riconosciuto in più aree contemporaneamente.

Chi non ha mai abbandonato il Sudan è Medici Senza Frontiere (MSF), presente in 10 delle 18 regioni con oltre 33 strutture sanitarie operative. Allo scoccare del terzo anno di guerra l’ONG lancia un nuovo, disperato appello: garantire la protezione dei civili e delle équipe mediche, facilitare l’accesso degli aiuti umanitari e porre fine alle restrizioni che ostacolano la distribuzione di farmaci, forniture e personale sanitario.

In Sudan una guerra combattuta da tre anni in aree densamente popolate

“Dopo tre anni – spiega a Fanpage.it Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi MSF in Sudan – la guerra continua a presentarsi ogni giorno con la stessa intensità e violenza. Ovviamente tutti i conflitti sono brutali, ma quello in Sudan si è distinto per una caratteristica particolarmente drammatica: il continuo spostamento delle linee del fronte, che hanno toccato soprattutto le aree urbane a partire dalla capitale, Khartoum”.

Si tratta, aggiunge Oppizzi, di un unicum nella lunga e travagliata storia sudanese, attraversata da innumerevoli guerre come quella del Darfur agli inizi degli anni Duemila, o prima ancora nel sud del Sudan. “Ma non si era mai combattuto a Khartoum. Mai, in cento anni. E questo ha segnato una svolta drammatica. L’inizio del conflitto nella capitale ha avuto un impatto immediato e devastante su milioni di persone. Prima della guerra, Khartoum contava oltre sette milioni di abitanti. Possiamo solo immaginare cosa significhi, da un giorno all’altro, vedere esplodere un conflitto nella propria città: ospedali pieni di feriti sin dalle prime ore, quartieri residenziali trasformati in zone di combattimento, e poi un’enorme ondata di sfollati. La gente è scappata di casa lasciandosi tutto alle spalle, nel giro di poche ore. È una tragedia umanitaria enorme, che continua purtroppo senza tregua”.

Un quinto della popolazione sfollata: come tutti gli abitanti della Lombardia in fuga

I numeri sono davvero sconvolgenti. In Sudan, una persona su cinque ha dovuto lasciare la propria casa: stiamo parlando di oltre 10 milioni di persone, “più dell’intera popolazione della Lombardia”, afferma Oppizzi. “La maggior parte di loro, circa 8 milioni, sono sfollati interni. E spesso non si tratta di un singolo spostamento: molte persone sono state costrette a fuggire più volte. Il conflitto, infatti, è rimasto molto dinamico, ha continuato ad avanzare e colpire nuove aree. Penso a chi è scappato da Khartoum per rifugiarsi più a sud, sperando in un po’ di sicurezza… e poi mesi dopo si è ritrovato di nuovo sotto attacco. Abbiamo incontrato pazienti nei nostri centri medici, in zone molto lontane dalla capitale, che ci raccontano storie tremende: famiglie intere fuggite da un giorno all’altro, che nel giro di un anno si sono dovute spostare più volte. È un dramma umano devastante”.

E non va meglio per chi è riuscito a fuggire oltre confine. Oltre 800mila rifugiati sudanesi sono entrati in Ciad, dove vivono in campi improvvisati, completamente dipendenti dall’assistenza umanitaria. Situazione analoga in Sud Sudan. Ma questi due stati faticano già da soli a provvedere ai bisogni della propria popolazione. Si può solo immaginare quanto sia difficile accogliere centinaia di migliaia di persone in fuga, con risorse quasi inesistenti.

Un bombardamento a Khartoum

Un bombardamento a Khartoum

L’assedio e la scarsità di aiuti umanitari

In questo quadro gli aiuti umanitari si stanno rivelando assolutamente insufficienti a causa dei blocchi totali imposti sia dalle Sudanese Armed Forces che dalle Rapid Support Forces. “La violenza è costante e spietata – aggiunge il funzionario di MSF -. Solo questo weekend, ad esempio, nel campo di Zanzam le RSF hanno attaccato un centro sanitario, uccidendo membri dello staff e costringendo migliaia di persone a fuggire di nuovo. A febbraio, un mercato di Khartoum è stato bombardato: l’ospedale che supportiamo ha ricevuto più di 150 feriti e decine di morti. Per chi vive lì, uscire di casa per andare al mercato può significare non tornare più”.

Sembra di leggere, nelle parole di Oppizzi, le cronache che ogni giorno arrivano dalla Striscia di Gaza. “Paragonare crisi diverse non ci piace, perché ogni paziente, ogni individuo che assistiamo, conta. Ma sì, quello che sta accadendo in Sudan è qualcosa che lascia davvero senza parole. Le Nazioni Unite parlano di oltre 20 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Un dato su tutti: una persona su cinque è sfollata. È una crisi di dimensioni enormi. Oggi, non c’è Paese al mondo con una popolazione più esposta al rischio del Sudan”.

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L’epidemia di morbillo, il colera e la malnutrizione

Agli effetti diretti del conflitto si devono aggiungere quelli indiretti: “Ci sono milioni di persone che vivono in aree non ancora colpite dai combattimenti, ma che comunque soffrono. Dopo due anni di guerra, le strutture sanitarie non ricevono più forniture dal Ministero della Salute, il personale medico non è pagato da mesi. Questo significa, ad esempio, niente vaccini. Oggi stiamo fronteggiando un’epidemia di morbillo nel West Darfur: ogni settimana raddoppiamo i letti del nostro centro di isolamento pediatrico. E stiamo lanciando una campagna di vaccinazione per 200mila bambini sotto i 15 anni. Il morbillo ha una mortalità dell’1%, quindi parliamo di salvare almeno 2mila vite”.

E come se non bastasse c’è stato anche il colera. “Negli scorsi mesi abbiamo risposto a un’epidemia importante. Il colera è endemico in alcune aree del Sudan, ma con questi numeri di sfollati e condizioni igienico-sanitarie disastrose, è facile capire come il terreno sia diventato fertilissimo per la diffusione della malattia. È una situazione catastrofica, e ciò che rende tutto più drammatico è la risposta internazionale: totalmente insufficiente. Ovunque guardiamo, vediamo bisogni urgenti e insoddisfatti”.

Infine la malnutrizione: “È una delle emergenze più gravi. E purtroppo peggiorerà nei prossimi mesi. La malnutrizione ha una stagionalità precisa: peggiora durante la stagione delle piogge, quando le scorte alimentari finiscono e il raccolto non è ancora arrivato. Il conflitto ha colpito duramente gli stati di Sennar e Gezira, che sono il granaio del Sudan. Le linee del fronte interrompono gli scambi commerciali, aumentano i prezzi, riducono la disponibilità di cibo. In alcune aree, come il campo di Zamzam nel Darfur settentrionale o Khartoum, abbiamo visto livelli di malnutrizione agghiaccianti. Alcune zone sono sotto assedio: niente cibo, niente aiuti. E con l’arrivo della malaria – che si aggrava nei bambini malnutriti – la situazione rischia di diventare ancora più letale. È fondamentale che la risposta alla malnutrizione sia al centro di ogni intervento da qui in avanti”.

I tagli dei governi e l’eroismo degli operatori sudanesi

In un’intervista rilasciata da Vittorio Oppizzi a Fanpage.it qualche mese fa il funzionario di MSF aveva denunciato la scarsa efficienza delle Nazioni Unite nel fronteggiare la crisi sudanese. Ebbene, la situazione è persino peggiorata dopo i tagli di Trump a USAID. “I fondi per gli aiuti umanitari sono sempre meno. La riduzione è iniziata con l’amministrazione Trump, ma non è stata l’unica. Altri governi hanno seguito la stessa linea. Il Sudan non riceveva abbastanza attenzione nemmeno prima dei tagli della Casa Bianca. Ora, alcune ONG sono state costrette a interrompere le loro attività. E proprio per questo è ancora più importante l’indipendenza di azione di organizzazioni come Medici Senza Frontiere. Grazie al sostegno di milioni di donatori privati, possiamo continuare a operare, senza dover dipendere totalmente dai fondi pubblici. Per noi il Sudan resta una priorità”.

Un ruolo decisivo, però, è dato dall’impegno quotidiano sul campo di migliaia di operatori umanitari, a partire dai locali. “Oggi lavorano con noi oltre 1800 sudanesi – spiega Oppizzi -. Sono medici, infermieri, autisti, meccanici, guardiani. Non solo sono vittime della crisi, ma hanno scelto di esporsi ulteriormente, lavorando con noi per aiutare gli altri. Alcune strutture sanitarie sono state attaccate. Nonostante i rischi, loro continuano. È un vero atto di solidarietà verso il proprio popolo, ed è grazie a loro che la nostra azione umanitaria in Sudan continua”.

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