La Corte di Lussemburgo conferma le restrizioni imposte dal Consiglio dopo l’invasione dell’Ucraina, i togati europei non possono fornire assistenza ad entità della Federazione, ma solo difendere cittadini in normali processi
Gli avvocati europei non possono fornire consulenze legali alle aziende e alle entità russe, soprattutto quelle finite sotto il mirino delle sanzioni europee, sanzioni imposte in risposta all’invasione dell’Ucraina. Lo ha confermato il Tribunale della Corte di giustizia dell’Unione europea che, rispondendo proprio a un ricorso di associazioni di avvocati, ha ribadito il divieto di fornire servizi di consulenza giuridica al governo di Mosca e a tutte le entità, organismi e persone giuridiche stabilite in Russia. Gli avvocati possono però ancora difendere eventuali cittadini che dovessero finire sotto processo.
La decisione
Nel 2022, in seguito all’invasione russa nei confronti di Kiev, il Consiglio dell’Ue aveva adottato un regolamento contenente una serie di misure restrittive da adottare nei confronti della Russia di Vladimir Putin, tra cui il divieto di fornire assistenza giuridica che comprende “l’offerta di consulenze legali ai clienti in materia di volontaria giurisdizione, comprese le transazioni commerciali, che riguardano l’applicazione o l’interpretazione della legge; la partecipazione con o per conto di clienti a transazioni commerciali, negoziati e altre trattative con terzi; e la preparazione, l’esecuzione e la verifica di documenti giuridici”. Il divieto aveva ed ha come obiettivo principale quello di aumentare la pressione sulla Federazione russa perché si decida a porre fine all’aggressione contro Kiev.
La protesta degli avvocati
Il divieto ha avuto un grande impatto sui grandi studi legali europei, ingaggiati dagli oligarchi russi per la loro difesa dalle sanzioni adottate in tutta Europa come conseguenza all’aggressione russa all’Ucraina, prima fra tutte il blocco dei loro asset. Sono stati proprio l’Ordine fiammingo degli avvocati del foro di Bruxelles, l’Ordine degli avvocati di Parigi e l’Associazione Avocats Ensemble (sindacato degli avvocati) a presentare dinanzi al Tribunale dell’Unione europea una domanda di annullamento del divieto imposto da Bruxelles. Il divieto sarebbe, a loro avviso, privo di motivazione e violerebbe i diritti fondamentali che garantiscono l’accesso alla consulenza giuridica di un avvocato, il segreto professionale, i valori dello Stato di diritto, il dovere di indipendenza dei togati e i principi di proporzionalità del diritto.
Le reazioni
“Sono molti gli avvocati in Europa che si sentono a disagio per le sanzioni imposte ad altri Paesi. Esse influiscono sul loro lavoro, impedendo loro di fornire servizi direttamente o indirettamente sia al governo russo che alle aziende locali. Noi siamo uno di questi studi e prendiamo sul serio queste restrizioni”, aveva dichiarato a luglio Lupicinio Rodriguez, socio e amministratore dello studio legale di scala internazionale Lupicinio International Law firm. Rodriguez aveva poi aggiunto di aspettarsi che, dopo il loro ricorso, la decisione della Corte sarebbe cambiata, ma la Corte non si è espressa a favore, anzi.
Il Tribunale ha respinto i ricorsi presentati dai tre organismi e ricorda che “qualsiasi persona ha il diritto, riconosciuto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a una tutela giurisdizionale effettiva, la quale include il diritto di farsi consigliare e rappresentare da un avvocato in un contesto contenzioso, attuale o probabile. Esso ritiene che tale diritto non sia rimesso in discussione dal divieto controverso”.
Applicazione del divieto
Un comunicato della Corte europea spiega che l’interdizione di fornire assistenza giuridica non riguarda i servizi forniti in collegamento con un procedimento giudiziario, amministrativo o arbitrale e non è nemmeno applicabile in caso di persone fisiche cioè gli individui per se.
Il Tribunale aggiunge che il ruolo fondamentale dell’avvocato nel rispetto e per la difesa dello Stato di diritto può essere sottoposto a limitazioni. Infatti, tale ruolo può essere oggetto di restrizioni giustificate da obiettivi di interesse generale perseguiti dall’Unione, come può essere porre fine ad una guerra di aggressione.
Ovviamente tale possibilità è affiancata alla condizione che le limitazioni adottate non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, “un intervento sproporzionato e inaccettabile che pregiudichi la sostanza stessa del ruolo affidato agli avvocati in uno Stato di diritto”. Secondo la Corte, questo è uno dei casi assolutamente in linea con il principio di proporzionalità e di interesse generale per l’Unione.