C’è un’immagine del campo profughi palestinese di Yarmouk a Damasco, in Siria, apparsa oggi nella Striscia di Gaza, ma in realtà risale a oltre undici anni fa, precisamente al febbraio 2014. Essa ritrae migliaia di palestinesi stremati che attendono cibo, circondati da edifici distrutti dai bombardamenti. Oggi quella stessa strada è deserta, i palestinesi sono fuggiti e rimangono solo rovine devastate dai colpi di artiglieria e dalle bombe del regime siriano, riporta Attuale.
Prima dell’inizio della rivoluzione siriana nel 2011, Yarmouk era considerato il fulcro della diaspora palestinese, un luogo vibrante con una popolazione di circa 160.000 abitanti. La maggior parte di loro era composta da palestinesi espulsi dalle terre diventate Israel nel 1948, unendosi a siriani. Prima dell’era del regime degli Assad, i palestinesi avevano diritti simili a quelli dei cittadini siriani e potevano muoversi liberamente.
Oggi si continua a parlare di “campo”, e la scritta in arabo all’ingresso lo definisce ancora mukhayyam, come se fosse un rifugio temporaneo. Tuttavia, nel corso degli anni si è trasformato in un’area urbana con grandi edifici, complessi residenziali, piazze, negozi, ospedali e scuole, conservando una forte identità palestinese.
Servono circa quindici minuti in auto per raggiungere Yarmouk dal centro di Damasco. Questo significa che, durante gli anni di assedio e bombardamenti, l’intera capitale era costantemente accompagnata dal suono delle esplosioni a meno di otto chilometri di distanza. Era il riflesso della Siria sotto il dittatore Bashar al Assad, dove nel cuore della capitale si cercava di mantenere una vita normale mentre nella periferia infuriavano battaglie urbane senza possibilità di vittoria definitiva, ma solo contenimento. L’accesso era proibito a qualsiasi giornalista straniero.
Khaled al Bitari, un palestinese di 60 anni che ha vissuto i tempi d’oro di Yarmouk, raccontando le vicende del campo, sottolinea la sua posizione strategica, essendo situato a sud di Damasco, nel cuore di una vasta periferia di quartieri satellite. Il campo divenne cruciale sia per i ribelli che per le forze di sicurezza di Assad, essendo il passaggio più breve e meno esposto per attraversare la zona.
Al Bitari indica il monte Qassioun, dove si trova il palazzo presidenziale di Assad che si affaccia sulla capitale. Sono da lì che partivano i colpi d’artiglieria che quotidianamente colpivano il quartiere palestinese. Dal 16 dicembre 2012, gli attacchi aerei cominciarono a devastare Yarmouk, iniziando con un bombardamento che colpì una moschea usata come rifugio, provocando decine di morti tra i civili.
Le conseguenze degli attacchi sono evidenti. Yarmouk è oggi un distretto in rovina, con edifici in piedi che non sono altro che scheletri di cemento, mentre il resto è ridotto a macerie. Le strade sono state sgomberate, ma ci sono ancora enormi cumuli di detriti. La differenza tra gli edifici distrutti di Yarmouk e quelli intatti di Damasco, situati a pochi metri di distanza, è sconvolgente.
All’interno di Yarmouk, tra i gruppi ribelli c’era anche Jabhat al Nusra, una fazione jihadista sotto Abu Mohammed al Jolani. Le forze di Assad circondarono il campo, bloccando ogni accesso. I civili avevano imparato a riconoscere il suono dei bombardamenti e sapevano dove rifugiarsi nei sotterranei, evitando così una certa esposizione alle esplosioni.
Dal luglio 2013, il flusso di cibo, acqua, elettricità e medicine si interruppe completamente. Chi riuscì a scappare lo fece con l’aiuto di contrabbandieri. La popolazione scese sotto i 20.000 abitanti, e chi rimase cominciò a subire la fame. Il rapporto di Amnesty International del marzo 2014 denunciò il regime di Assad per crimini di guerra, accusando di utilizzare la fame come arma. Centinaia morirono di malnutrizione.
Quando il regime riaprì l’accesso all’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, le immagini dei sopravvissuti in attesa di cibo divennero un simbolo della crisi umanitaria.
Nell’aprile 2015, l’ISIS entrò nel campo, imponendosi brutalmente sulle altre fazioni e costringendo i civili ad adattarsi a una rigida interpretazione della legge islamica. I palestinesi di Yarmouk si ritrovarono intrappolati tra due forze spietate: i miliziani dell’ISIS all’interno e le forze di Assad all’esterno, che bombardavano senza pietà. Tra le armi utilizzate gonfiavano barili di esplosivo da lanciare dagli elicotteri, in alternativa alle costose bombe tradizionali.
Nel maggio 2018, l’assedio si concluse con la vittoria delle forze siriane, dopo un accordo con lo Stato islamico. Molti degli uomini che ora fanno parte delle fila dell’ISIS erano reduci da quel conflitto.
Oggi, le strade di Yarmouk sono deserte e ingombre di rovine, ma alcuni residenti sono tornati nei luoghi dove gli edifici distrutti sono troppo costosi da demolire. Nelle aree meno desolate vi sono appartamenti con porte chiuse, attività al piano terra e camion di fruttivendoli che si fanno strada lungo una via silenziosa.