Il Riflessione di Sari Nusseibeh sulla Pace tra Palestinesi e Israeli
GERUSALEMME – «Esiste una necessità imprescindibile di dialogo e riconciliazione. Per anni, le illusioni di vittoria reciproca hanno dominato tra palestinesi e israeliani. Prima della creazione dello Stato di Israele, gli ebrei credevano di poter eliminare gli arabi, mentre gli arabi nutrivano la stessa convinzione nei confronti degli ebrei. Con il trascorrere del tempo, eventi come la guerra dell’Olp e i conflitti con Hamas hanno evidenziato un ciclo continuo di violenza. Ad oggi, i coloni israeliani e le forze di destra sembrano determinati a liberare la Cisgiordania e Gaza dai palestinesi. Tuttavia, è evidente che entrambi i popoli sono destinati a coesistere. Nessuno può essere espulso completamente. Anche in una Gaza martoriata dai conflitti, l’esercito israele non sa come allontanarci. Pertanto, l’unica opzione rimane il dialogo per trovare un’intesa. Non vedo altre soluzioni». Sari Nusseibeh, nonostante le attuali tensioni che definisce «giorni di terrore senza precedenti», mantiene il suo ottimismo proverbiale. A 76 anni, proveniente da una delle famiglie più rispettate di Gerusalemme, Nusseibeh è uno dei pochi intellettuali moderati dell’ambiente palestinese. Durante i suoi anni di insegnamento filosofia all’Università di Bir Zeit negli anni ’80, ha affrontato anche violenze dai suoi studenti per il suo impegno nel dialogo con la destra israeliana, arrivando a subire un infortunio serio.
Il Dialogo come Soluzione
Come si può procedere?
«Dobbiamo apprendere dal nostro passato. Per più di un secolo, ci sono stati alti e bassi nelle illusioni di una vittoria definitiva. Le cose hanno iniziato a mutare dopo la prima Intifada nel 1987, quando entrambe le parti hanno cominciato a capire la necessità di un compromesso. I palestinesi hanno realizzato che il sionismo non era semplicemente un fenomeno coloniale da sconfiggere, mentre gli ebrei hanno iniziato a vederci non come discendenti di Hitler. Tuttavia, questo periodo di consapevolezza si è rivelato effimero. Il processo di pace avviato a Oslo nel 1993 ha subito una battuta d’arresto, e dall’inizio del nuovo millennio siamo tornati a un ciclo di violenza incessante.
Di cosa parliamo?
«Gli israeliani ci considerano un nemico mortale da annientare, mentre i palestinesi non hanno fiducia in un futuro condiviso con gli israeliani. Oggi, il messianismo religioso sionista contrappone la guerra santa islamica, in un contesto dove la forza sembra prevalere. Siamo tornati all’origine dello scontro, come se oltre un secolo di storia non fosse servito a nulla».
Il Futuro del Conflitto
Quali sono le prospettive?
«È cruciale comprendere che nessuna delle due parti può ottenere una vittoria definitiva. Anche se gli abitanti di Gaza fossero costretti a fuggire, inevitabilmente tornerebbero a combattere. Continuare a farsi guerra porta solo a trasformare i cittadini comuni in creature assetate di vendetta».
Riflettendo sugli eventi storici, quale periodo ricorda quello attuale?
«Il periodo immediatamente successivo al 1948, in cui diversi stati arabi credevano di poter espellere gli ebrei».
Cosa ha rappresentato Oslo?
«È stato un inizio di riconoscimento dell’altro come partner possibile».
Quali sono le differenze rispetto a trent’anni fa?
«Oggi c’è un forte spirito di messianismo religioso nel sionismo, che ostacola il compromesso. Se la laicità viene meno, e si inizia a credere che la terra sia concessa per volontà divina, non c’è più spazio per negoziare».
Questa visione è condivisa da Hamas?
«In effetti, si può dire che oggi ci sia un Hamas israeliano».
Quali sono le distinzioni?
«Hamas si trova in difficoltà tra i palestinesi, a causa del disastro che ha generato a Gaza, mentre il messianismo religioso ebraico sta guadagnando terreno. Tuttavia, non è detto che questa tendenza sia irreversibile; esiste la possibilità di un cambiamento».
Ritiene che Arafat e Abbas abbiano sbagliato a non accettare le offerte diplomatiche nei primi anni Duemila?
«Assolutamente sì. Entrambi hanno commesso l’errore di non continuare il dialogo. Dovevano ratificare quegli accordi e poi tornare alle trattative. Abbas doveva rispondere a Olmert; ha perso una grande opportunità per il 4% della terra».
Verso una Nuova Fase di Dialogo
Come interpreta la questione degli sceicchi di Hebron che cercano accordi con il governo Netanyahu monopolizzando il dialogo?
«Sono strumenti ottimali per gli israeliani, che li utilizzano per dividere il fronte palestinese. Questo non è nuovo; è una strategia che dura dalla fine degli anni ’60. Provo pietà per loro; non riescono a vedere che ciò li indebolisce ulteriormente».
Quali sarebbero i passi per un nuovo dialogo?
«Nessuno è preparato attualmente. Ci vorrà tempo. Fra un paio d’anni, la società israeliana potrebbe superare il periodo di illusione di vittoria, comprendendo che dobbiamo coesistere. Il governo di Ramallah ha bisogno di una riforma, e spero che si possano tenere le elezioni».
Qual è il suo punto di vista sugli sforzi di Trump per un cessate il fuoco a Gaza?
«Penso che stia facendo progressi. Un cessate il fuoco è essenziale; ciò che sta accadendo a Gaza è senza precedenti. Speriamo che possa costringere Netanyahu a fermare gli attacchi».
In seguito, ci si dovrà riappropriare della formula di Oslo per i due Stati, o anche rivedere i modelli esistenti. Possiamo considerare soluzioni alternative come uno Stato binazionale o una confederazione con il coinvolgimento della comunità internazionale riguardo a Gerusalemme. Tutti questi scenari sono possibili e inevitabilmente torneranno a essere discussi.», riporta Attuale.