Il caso di Chiara Poggi: il DNA non identifica un colpevole
Roma, 25 novembre 2025 – Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco, è una vittima di femminicidio. Oggi, 25 novembre, più di ieri, ci ricorda quanto la sete di un colpevole possa diventare più forte della sete di verità, riporta Attuale. Secondo le indiscrezioni circolate in questi giorni su quanto emerso nell’udienza secretata del 26 settembre a Pavia, il dato che molti attendevano di vedere trasformato in una prova risolutiva si è rivelato tutt’altro. Il DNA trovato sul mignolo destro e sul pollice sinistro di Chiara Poggi non sarebbe il DNA di un uomo, ma di una linea paterna. Questo significa che non individua un soggetto specifico, ma identifica il suo gruppo familiare. Il cromosoma Y non funziona come riportano spesso i titoli sensazionalistici; non indica un colpevole, bensì una genealogia, suggerendo che, se combaciasse con quello di un indagato, potrebbe identificare anche il padre, un eventuale fratello, gli zii e i cugini paterni. Questa situazione crea un cerchio che contiene più uomini, dove non si può ancora affermare “è lui”.
Dunque, si può prendere un DNA che non individualizza e trasformarlo nella chiave del caso? La risposta diventa più chiara se la si accosta all’altro fronte dell’indagine, quella bresciana, che avrebbe dovuto procedere in parallelo ma si è arenata. Il troncone d’inchiesta sul presunto Sistema Pavia, che ha coinvolto l’ex procuratore Mario Venditti, accusato di aver archiviato nel 2017 la posizione di Sempio, è crollato prima di ricevere un vero avvio. Il Riesame ha evidenziato l’assenza di gravi indizi, al punto da non giustificare neanche il sequestro dei dispositivi del magistrato. Risultato? Tutto restituito e l’impianto smontato, senza supporti per avvalorare l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari.
Pavia e Brescia: due tracciati diversi, ma entrambe le indagini arrivano, per ora, allo stesso punto morto, senza nulla che le spinga oltre. Il resto rimane un circo mediatico che sfregia l’immagine della povera Chiara e premia solo chi desidera un colpevole più di quanto abbia bisogno di fatti. E i fatti, nel delitto di Garlasco, sono già cristallizzati: una sentenza definitiva, due richieste di revisione respinte e un pronunciamento della Corte di Giustizia che ha ritenuto equo il processo a carico di Alberto Stasi.
Se davvero — come qualcuno insinua — quella condanna non fosse stata pronunciata al di là di ogni ragionevole dubbio, allora sorge un’interrogativo inevitabile: quali sarebbero, oggi, le prove contro Sempio? Perché il messaggio pericoloso che rischia di emergere è che basti identificare un nuovo indagato per rimescolare le carte, anche in assenza di un percorso formale di revisione. Come se la giustizia fosse un gioco di sostituzioni e non un esercizio di responsabilità.