Processo storico ad Aleppo per massacri in Siria
Martedì, ad Aleppo, nel nord della Siria, è iniziato il primo processo pubblico contro le persone sospettate di essere coinvolte in una serie di massacri avvenuti lo scorso marzo nella regione costiera di Latakia. Il processo è straordinario, poiché tra gli imputati ci sono anche membri delle forze di sicurezza del governo siriano, accusati dei massacri. Questo sarebbe stato impensabile sotto il regime del dittatore Bashar al Assad, la cui famiglia ha governato la Siria per oltre cinquant’anni e che è stata rovesciata in modo rapido e inaspettato nel dicembre del 2024, riporta Attuale.
Per il nuovo governo, guidato dal presidente Ahmed al Sharaa, il processo rappresenta una prova importante per dimostrare che la Siria sta diventando un paese dove vige lo stato di diritto, in cui anche i membri delle forze di sicurezza possono essere giudicati per i propri crimini. Da mesi, al Sharaa sta cercando di convincere la comunità internazionale a rimuovere le sanzioni al suo paese e a promuovere investimenti economici; il processo per i massacri di Latakia è un passo in questa direzione, anche se presenta molte incongruenze e una trasparenza limitata.
All’inizio di marzo, nell’area di Latakia, alcuni ex militari della minoranza alawita, fedeli all’ex regime di Assad, tentarono una sollevazione armata contro il nuovo governo, uccidendo decine di membri delle forze di sicurezza. Il giorno successivo, il governo inviò migliaia di soldati nella regione, represso la sollevazione con eccezionale brutalità: in un massacro, furono uccisi anche civili, donne e bambini. Si stima che, tra entrambe le parti, siano state uccise più di 1.400 persone.
Al processo sono imputati 265 assadisti e 298 militari del governo, ma non si sa quanti siano detenuti. Durante l’udienza di martedì, erano presenti soltanto 14 imputati, sette da ciascuna parte. Il giudice Zakaria Bakkar ha aperto la seduta dichiarando che «il tribunale è sovrano e indipendente». Un portavoce del ministero della Giustizia ha sottolineato che «la trasparenza che stiamo vedendo in questo processo è senza precedenti. Questa è una pietra miliare nel rafforzamento dello stato di diritto. Senza un vero processo, giusto e trasparente, non avremo stabilità in questo paese».
Durante il procedimento, secondo quanto riportato dai giornalisti presenti, il giudice ha confrontato gli imputati con video pubblicati sui social media: video in cui gli assadisti promettevano di rovesciare il governo di al Sharaa, e video che mostravano gli imputati commettere violenze o vicino a pile di cadaveri. Quasi tutti si sono giustificati, alcuni sostenendo di essere stati costretti a girare quei video, o che i cadaveri non erano di civili, ma di miliziani uccisi in combattimento. Un soldato del governo ha affermato che un video che lo ritraeva mentre urlava insulti razzisti e uccideva una persona era stato creato con l’intelligenza artificiale.
Il processo non riguarda le responsabilità politiche né il coordinamento militare del massacro. La commissione d’inchiesta che ha preparato il processo ha affermato che non ci sarebbero prove che gli ufficiali delle forze di sicurezza del governo abbiano dato ordini di uccidere i civili alawiti; i soldati che hanno commesso i crimini avrebbero agito per iniziativa personale e devono rispondere individualmente.
Associazioni per i diritti umani sono scettiche, ritenendo che i massacri siano stati indiscriminati e sistematici. Anche se si arriverà a condanne, è probabile che non coinvolgeranno ufficiali e politici responsabili di aver ordinato il massacro. Inoltre,ostante il processo sembri seguire un procedimento regolare, ci sono molte incongruenze, come il fatto che molti degli imputati non avevano un avvocato. Il giudice ha affermato che un legale sarà assegnato d’ufficio alla prossima udienza, prevista per dicembre.