Decine di migliaia di israeliani residenti vicino al confine con il Libano sono stati evacuati per i continui attacchi sferrati da Hezbollah. Riportarli al sicuro nelle loro case è il nuovo obiettivo di guerra del governo Netanyahu, al costo di generare un’escalation e trascinare l’Iran nel conflitto
Riportare a casa, al sicuro, i 60mila israeliani evacuati dal Nord del Paese a causa degli attacchi sferrati quasi quotidianamente dal territorio libanese dal gruppo terroristico Hezbollah. È il nuovo obiettivo di guerra annunciato dal governo Netanyahu, che sembra così aprire ufficialmente a quel fronte con il Libano paventato da mesi che rischia di trascinare una potenza come l’Iran nel conflitto. Uno scenario di guerra su vasta scala che potrebbe travalicare i confini regionali.
“La possibilità di un accordo si sta esaurendo mentre Hezbollah continua a legarsi ad Hamas e si rifiuta di porre fine al conflitto”, ha detto il ministro della Difesa Yoav Gallant durante un incontro con Amos Hochstein, l’inviato di Joe Biden in Israele e Libano con il compito di evitare l’escalation con gli Hezbollah. “Pertanto – ha proseguito Gallant nel colloquio di lunedì 16 settembre – l’unico modo rimasto per garantire il ritorno delle comunità settentrionali di Israele alle loro case sarà attraverso un’azione militare”.
Alle esternazioni già chiare del ministro della difesa è seguita la nota del gabinetto di sicurezza, giunta a tarda notte: “Il ritorno sicuro dei residenti del nord alle loro case” è stato ora aggiunto come quarto obiettivo di guerra e “Israele continuerà ad agire per raggiungerlo”. L’ultima mossa israeliana aggiunge così un quarto punto alla liste degli obiettivi del conflitto precedentemente dichiarati: l’eliminazione di Hamas e delle sue capacità militari; la liberazione di tutti gli ostaggi; garantire che la Striscia di Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele.
Il rischio escalation
Israele ha sempre più minacciato di lanciare una grande operazione per spingere Hezbollah lontano dal suo confine Nord, quello della cosiddetta “linea blu” con il Libano tracciata dalle Nazioni Unite. Da parte sua, l’organizzazione sciita che vanta un solido radicamento in Libano e un alleato come l’Iran, ha fatto sapere che metterà fine ai raid solo una volta che la guerra a Gaza finirà. Una serie di attacchi con razzi e droni dal Libano sono stati sferrati per tutta la giornata di lunedì, causando danni e incendi ma nessun ferito.
Le forze di difesa israeliane hanno risposto bombardato alcuni siti di Hezbollah nel sud del Libano, uccidendo almeno un miliziano. Anche oggi, 17 settembre, le sirene antimissile continuano a suonare nelle località israeliane di Yiron, Dovev e Baram, vicino al confine con il Libano.
Da mesi i residenti del Nord hanno aumentato le pressioni verso Tel Aviv affinché venissero intraprese azioni concrete per la loro sicurezza e a nulla è servita la mediazione statunitense portata avanti da Hochstein, che ha cercato di sottolineare come un’offensiva israeliana su larga scala contro Hezbollah non porterebbe al ritorno delle persone evacuate alle loro case, quanto a una guerra regionale prolungata.
Le tensioni con gli Hezbollah si sono acuite dal 7 ottobre culminando in attacchi sempre più frequenti. Una guerra a bassa intensità che finora ha provocato la morte di 26 civili israeliani e 20 soldati dell’Idf. Hezbollah ha parlato di 441 miliziani uccisi da Israele e un numero di civili non specificato, perlopiù in Libano ma anche in Siria, dove Tel Aviv ha condotto alcuni raid con lo scopo dichiarato di colpire le milizie filoiraniane che utilizzano il territorio siriano per sferrare attacchi verso Israele.