Jonathan Safran Foer sul nuovo sindaco di New York: “Una vittoria piena di speranza e preoccupazione”
Jonathan Safran Foer ha accolto l’elezione di Zohran Mamdani a nuovo sindaco di New York con «speranza e preoccupazione». «Speranza perché la sua vittoria significa fame di un nuovo linguaggio, morale e politico. Mamdani non è come gli altri. Parla meno da manager e più da leader di un movimento. È aria fresca, soprattutto dopo anni di discorsi tecnocratici. Preoccupazione perché con questa freschezza si porta dietro un rischio, ed è un momento pericoloso per correre rischi. A volte Mamdani è troppo frettoloso nel parlare, cade nella trappola della retorica», ha dichiarato l’autore di Ogni cosa è illuminata (2002) ed Eccomi (2016; tutti pubblicati da Guanda), riporta Attuale.
Quando gli è stato chiesto se avesse votato per Mamdani, Foer ha risposto: «Sono andato al seggio con l’intenzione di votarlo, ma alla fine non ci sono riuscito. Ho lasciato scheda bianca. C’è una sorta di abnegazione in questo, una riluttanza a prendere posizione quando prendere posizione è ciò che la democrazia richiede. Riflette anche qualcosa di profondo: un misto di paura e scetticismo cresciuti in me negli ultimi anni». Ha proseguito esprimendo felicità per la vittoria ma avvertendo che la gioia è «provvisoria», sottolineando che tutto dipende dalla capacità di Mamdani di «trasformare la passione in responsabilità».
Foer ha poi analizzato il programma politico di Mamdani: «Alcuni punti sì. La sua attenzione alle condizioni della vita quotidiana dei newyorchesi è un segno di umanità. Ci ricorda che la democrazia non riguarda solo l’identità o la moralità, ma la possibilità di condurre una vita dignitosa. Un tema che abbiamo trascurato per troppo tempo. Quello che non mi convince è come verranno messe in pratica queste teorie. Le idee da sole non bastano, gli slogan non possono sostituire la politica. A volte avverto una mancanza di concretezza nel nuovo sindaco».
In merito al linguaggio utilizzato da Mamdani, Foer ha sollevato preoccupazioni: «Ciò che non mi convince è la sua occasionale sciatteria linguistica. Le parole non sono decorazioni del pensiero; ne sono gli strumenti. Una frase vaga può rovinare una buona idea. Lo vediamo con Trump, sebbene ci troviamo davanti a un registro morale diverso».
Riguardo le percezioni sulla comunità ebraica newyorchese, Foer ha affermato: «No, non credo che rappresenti una minaccia. Le sue posizioni su Israele non sono particolarmente radicali rispetto agli standard. Il problema non è la sostanza delle sue convinzioni, ma lo stile con cui a volte le esprime». Ha auspicato che Mamdani possa «diventare un alleato piuttosto che un antagonista nei dibattiti sulla giustizia per tutti i popoli, ebrei e palestinesi compresi».
Infine, Foer ha suggerito che un dialogo aperto potrebbe rassicurare la comunità ebraica: «Potrebbe iniziare ascoltando, ascoltando davvero, non per rispondere ma per capire. L’ansia del popolo ebraico nei confronti dell’antisemitismo non è paranoia; è la storia che parla attraverso di noi».
Riguardo all’ambizioso programma socialista di Mamdani, Foer ha espresso realismo dicendo: «Nessuno realizza appieno la propria agenda politica a New York. Questa città è un groviglio di interessi contrastanti, ego e burocrazie».
Infine, Foer ha identificato la vittoria di Mamdani come una vittoria dei giovani: «Sì, ed è questo che mi dà più speranza. Per anni, i giovani sono stati descritti come apatici, isolati dalla vita civile. L’ascesa di Mamdani dimostra che non è vero: aspettavano solo che qualcuno parlasse il loro linguaggio di urgenza e serietà morale».