La coperta di Giovanni Rossi, partigiano assassinato nel 1944, donata al Qn-Carlino

22.11.2025 02:35
La coperta di Giovanni Rossi, partigiano assassinato nel 1944, donata al Qn-Carlino

Modena, 22 novembre 2025 – Trenta piccoli rammendi tengono ancora assieme una vicenda, agli albori della Resistenza, che in 81 anni è stata lacerata, strappata, spesso volutamente dimenticata: quella di Giovanni Rossi, primo comandante partigiano nel Modenese, e fra i primi in Italia, incamminatosi verso le montagne con la rivoltella in saccoccia per combattere i nazifascisti, ma finito ucciso all’età di 31 anni per mano dei partigiani stessi, fazione comunista. Come il filo di Arianna, oggi sono quelle cuciture a riportarci, addirittura anche materialmente, a quel lontano 28 febbraio 1944. Dopo opportune verifiche, riteniamo infatti che la coperta militare in lana ruvida in uso all’esercito consegnataci qualche settimana fa a Spervara, frazione di Frassinoro, sull’Appennino modenese, sia la stessa che Rossi utilizzò per proteggersi dal freddo la notte in cui fu ammazzato nel sonno. I trenta fori, ricomposti in modo nient’affatto dozzinale, cristallizzano il fatto che fu assassinato con una pioggia di proiettili, riporta Attuale.

Cosa successe quella notte

In netto anticipo sul corso della storia, la sera di San Martino del 1943, Rossi decise di partire a piedi da Sassuolo verso l’Appennino e niente avrebbe potuto fermarlo: per lui infatti il momento della lotta armata contro i nazifascisti era già maturo. A raccogliere l’appello di quel sottufficiale dalle spalle larghe e i modi un po’ burberi, che aveva partecipato alla guerra nella Jugoslavia dei titini, erano inizialmente appena in tre, anch’essi di Sassuolo; lo seguiranno però a decine, di lì a breve, quando il suo gruppo nei mesi successivi compirà azioni clamorose in montagna, diventando motivo di preoccupazione crescente fra i repubblichini d’Emilia.

A Pavullo e a Frassinoro i fascisti faranno figure da mezze calzette di fronte a quei ribelli in armi. Eppure a uccidere ‘primula Rossi’ (come ribattezzato dalle scarne cronache dell’epoca) furono altri partigiani, comunisti. Il 28 febbraio del 1944 gli spararono gli emissari del Pci, Zuilio Rossi, Walter Tarasconi e Iris Malagoli mentre con la sua banda senza bandiere si trovava a Monterotondo, borgata contadina ben protetta e ‘fortificata’ dai fitti boschi di Frassinoro e per questo località strategica in piena guerra. Mandante il reggiano ‘Davide’, al secolo (scorso) Osvaldo Poppi, un curriculum insolito, il suo: ufficiale della milizia fascista e segretario del Fascio di San Bartolomeo, Reggio Emilia, era riuscito a fuggire dal carcere a seguito della conversione al comunismo.

Chi era Giovanni Rossi

Davide è una figura centrale nella storia della Resistenza modenese, sarà fra i padri della Repubblica partigiana di Montefiorino. In una pubblicazione dall’Anpi del 1979 racconta, in merito alla banda di Rossi, che definiva come ‘anarchica’: “Rossi indiscutibilmente era un uomo di coraggio… mancata ogni possibilità di recupero dell’individuo, allora spinsi altri elementi nostri ad eliminarlo”. Il comandante Rossi era ‘reo’ di essersi opposto alla politicizzazione dei suoi partigiani, di aver detto no all’invio da Modena di un commissario politico, ora che il partito comunista, ad allora attendista, aveva invece deciso che sì, la lotta armata in montagna non andava soltanto fatta, ma prima di tutto governata. I paesaggi lunari di Monterotondo segneranno così per sempre un confine nella storia della Resistenza modenese. E se 81 anni dopo un reperto, l’unico finora, riemerge dall’altra parte di quel confine lo dobbiamo a chi assistette inerme al corso degli eventi.

La coperta coi rammenti donata al Carlino

A consegnarci la coperta di lana, difatti, è stato un Medici, discendente di una delle due famiglie che nel 1944 abitavano le vicinissime borgate di Monterotondo e del Lagaccio, laddove le decine di partigiani comandate da Rossi scelsero di fermarsi per un periodo. Ha chiesto di non essere identificabile, ma garantisce la disponibilità a condividere i suoi ricordi con chi prenderà in custodia la coperta, auspicando sia un museo, magari proprio quello della Resistenza nel vicino comune di Montefiorino, dove a Giovanni Rossi è già dedicata parte di una delle nove stanze. “In famiglia – spiega – mi raccontavano di quando lavarono quella coperta, ancora sporca di sangue e con frammenti di ossa. La chiamavano proprio ‘la coperta di Rossi’, ricucita per essere utilizzata durante le ristrettezze della guerra. Per anni, poi, è stata custodita in casa. L’abbiamo ritrovata ora, durante il trasloco a distanza di decenni”. Nel 2021, infatti, è venuta a mancare l’ultima anziana appartenente alla generazione della guerra. Così la casa di Spervara (pochi chilometri da Monterotondo) è stata riassettata portando al ritrovamento. In un documento del 1945 redatto dalla Legione territoriale dei carabinieri reali di Bologna in merito ai rastrellamenti di tedeschi e fascisti avvenuti intorno a Frassinoro dopo la morte del comandante Rossi (per trovare eventuali altri partigiani), vengono citate le famiglie di abitanti delle borgate di Monterotondo e del Lagaccio. Ci sono i Cervetti, ma ci sono anche i Medici, parenti della persona che ci ha consegnato il reperto.

Dopo 81 anni, la coperta di Giovanni Rossi con i suoi trenta rammendi ha lasciato l’Appennino per essere portata alla redazione del Carlino di Modena, nella stessa sala archivio dove si possono consultare gli articoli con appelli alla riabilitazione della figura del comandante (a lui sono dedicati una targa in piazza a Frassinoro ed un cippo a Sassuolo), lanciati dalle sue due sorelle Ines ed Ebe e dall’ex partigiano modenese Romano Levoni, oggi tutti e tre non più in vita.

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