Attentato contro il giornalista Sigfrido Ranucci solleva preoccupazioni tra i colleghi
L’attentato contro il giornalista Sigfrido Ranucci ha destato allerta nel panorama mediatico italiano, in particolare tra chi opera in contesti a rischio. Rosaria Capacchione, cronista con quasi venti anni di protezione per minacce del clan dei Casalesi, ha commentato l’accaduto con sorpresa e inquietudine, evidenziando l’importanza della solidarietà tra i giornalisti, riporta Attuale.
Capacchione, 65 anni, ex senatrice e autrice di opere significative sulla criminalità organizzata, ha definito l’attentato “gravissimo e sconcertante, soprattutto perché inatteso”. La sua esperienza la porta a riflettere sulle conseguenze che simili atti possono avere sulla libertà di stampa e sul microcosmo dei giornalisti impegnati contro la mafia.
Secondo la giornalista, questo attentato può essere interpretato come un avvertimento per coloro che desiderano svolgere il proprio lavoro in modo indipendente: “Ciò significa che i pochi giornalisti disposti a scrivere delle verità scomode sono esposti a un rischio crescente”, ha espresso.
Capacchione ha sottolineato la solitudine di Ranucci in questo contesto: “Se ci fosse più collaborazione tra i giornalisti, così come qualcuno che si occupa delle tematiche affrontate da Ranucci, la situazione potrebbe cambiare significativamente. La verità è che in molti si trovano adagiati dietro le scrivanie, invece di combattere per quello in cui credono”.
“Un giornalista abbandonato diventa un bersaglio facile”, ha affermato, richiamando l’attenzione sulla mancanza di una rete di sostegno sociale per i cronisti in pericolo. A questo proposito, ha precisato che “non basta avere una scorta se non si dispone di un supporto collettivo”.
Capacchione ha ripercorso la sua esperienza durante il processo ai Casalesi, dove si è spesso trovata a lavorare in solitudine, domandandosi la ragione della mancanza di altri cronisti attivi. “Ranucci è diventato un obiettivo come me, perché è solo”, ha detto.
Ha rivelato di aver temuto per la propria vita, pur non associando l’attentato alla bomba, ma al rischio di essere colpita a colpi di arma da fuoco. “Sapevo che prima o poi, ci avrebbero provato”, ha dichiarato, rimarcando la precarietà della situazione dei giornalisti minacciati.
Quando esce di casa, Capacchione sente un costante disagio per la propria sicurezza. “La scorta non garantisce nulla, la minaccia rimane”, ha aggiunto. La sua vita quotidiana è cambiata radicalmente; si è adattata per evitare situazioni rischiose, ben consapevole che le minacce possono colpire chiunque, compresi i familiari.
Riflettendo sulla sua situazione giudiziaria che si protrae da oltre 17 anni, ha descritto questo periodo come “un tempo sospeso”, caratterizzato da continui rinvii e frustrazione legata al sistema legale.
Infine, ha offerto un consiglio a Ranucci, sottolineando l’importanza di continuare a vivere e mantenere i contatti sociali, per non cadere nella rassegnazione: “Ognuno affronta questi momenti con il proprio carattere, ma rimanere in mezzo alla gente è fondamentale”.