A Roma la protesta dei camici, che si sono fermati per 24 ore contro la manovra che non destina risorse sufficienti a coprire la carenza di personale. Boccone (Nursing Up): “30 mila colleghi emigrano per avere stipendi più dignitosi e noi facciamo arrivare 10 mila infermieri dall’India”
La Sanità si ferma per 24 ore e protesta contro la manovra del governo Meloni, in questi giorni al vaglio del Parlamento. E a pochi passi dai palazzi del potere, a piazza SS. Apostoli a Roma, le sigle hanno fatto montare il palco della manifestazione nazionale, dove i fischietti dei tanti medici e infermieri presenti hanno creato un frastuono a tratti assordante. La rabbia dei camici è tanta, sia per le promesse mancate che per la situazione drammatica in cui versano molti ospedali. E l’adesione alla protesta, che gli organizzatori hanno stimato all’85 per cento al netto degli esoneri previsti per legge, ne è sicuramente la riprova. Lo stop – spiegano – ha messo a rischio circa 1,2 milioni di prestazioni: un gesto estremo che i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari scesi in piazza considerano necessario per mettere in luce una situazione estremamente grave, che compromette, ogni giorno, la salute dei cittadini.
Piccinini (Federazione Cimo): “Le nostre eccellenze scappano all’estero e noi importiamo medici e infermieri da fuori”
“Come medici chiediamo innanzitutto più risorse – spiega Andrea Piccinini, vicepresidente della Federazione Cimo, a Today.it – perché erano stati promessi più di 3 miliardi e di questi, per quest’anno, ne sono arrivati soltanto 1.3 miliardi. Risorse preziose come l’ossigeno per poter rianimare un sistema sanitario ormai agonizzante, un sistema sanitario dal quale i professionisti che non riescono a essere valorizzati fuggono per prospettive migliori”. La fuga di medici e infermieri che si formano in Italia all’estero è uno dei temi ricorrenti della protesta. “C’è un gap salariale importante – prosegue Piccinini – e i nostri professionisti, che sono eccellenti e sono invidiati in tutto il mondo, vengono reclutati all’estero. E noi, invece di trovare una soluzione, ci rivolgiamo al mercato estero per importare medici e infermieri che ovviamente pretendono retribuzioni più basse. Dal punto di vista politico è un fenomeno molto preoccupante. Forse c’è la volontà di andare verso questa direzione per una questione di risorse, ma se è così e se si vuole andare verso un sistema a ribasso sul costo del lavoro, che preveda meno risorse da investire nella sanità pubblica, basta dirlo chiaramente”.
Intanto, nelle aule di Camera e Senato, le opposizioni attaccano l’esecutivo accusandolo di favorire la sanità privata a scapito di quella pubblica. “Ovviamente – spiega ancora il vicepresidente Cimo – noi non siamo contrari a un privato che sia capace di rogare servizi di qualità ai cittadini. Il problema è che anche ai professionisti che lavorano nel settore privato non viene rinnovato il contratto da 20 anni. E quindi ci sono dei professionisti che ormai, persino nel sistema privato, non riescono più a stare al passo del costo della vita con l’inflazione”.
Durante la sua audizione alla Camera dei Deputati, il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, ha lanciato l’allarme, arrivando a teorizzare un collasso del sistema. “Più che un collasso – conclude Piccinini – io vedo una lenta agonia: è evidente che ormai da tempo non si sostiene più la Sanità pubblica e questo risulta evidente anche leggendo i numeri della spesa out-of-pocket, ovvero i pagamenti diretti che i cittadini effettuano per servizi sanitari non coperti da assicurazioni o finanziati dal governo: ha superato ormai 40 miliardi e questo ci dice che già oggi gli italiani coprono di tasca propria una grossa fetta della spesa sanitaria che dovrebbe essere garantita dallo Stato”.
Boccone (Nursing Up): “Gli infermieri italiani sono tra i meno pagati d’Europa”
Tanti gli infermieri in piazza con le bandiere di Nursing Up, uno dei principali sindacati della categoria. “La nostra priorità – ci spiega Enrico Boccone, segretario regionale in Liguria – è quella di ottenere un riconoscimento per la nostra professione. In Italia mancano 100mila infermieri e se calcoliamo l’applicazione del Pnrr arriviamo a quasi il doppio. E in questa situazione ormai drammatica, il governo fa arrivare 10 mila infermieri dall’India, infermieri che spesso non parlano bene italiano e soprattutto hanno una formazione completamente diversa. Il paradosso è che ci sono oltre 30 mila colleghi emigrati all’estero che potrebbero rientrare se avessero un contratto dignitoso”.
A livello di stipendi siamo al terzultimo posto in Europa, ed è inaccettabile. Un Esempio? Ci sono infermieri che vivono a Milano e vanno a lavorare in Svizzera dove percepiscono uno stipendio quattro volte più alto. Un infermiere, appena entra, arriva a malapena 1.500 euro al mese ed è costretto a turni massacranti, perché le aziende sanitarie sono a corto di personale e ci spremono come limoni. La nostra vita privata e i nostri rapporti familiari ovviamente ne risentono.
“Un infermiere, appena entra, arriva a malapena 1.500 euro al mese ed è costretto a turni massacranti, perché le aziende sanitarie sono a corto di personale e ci spremono come limoni”.
Enrico Boccone (Nursing Up) a Today.it
Giorgia Meloni, nelle scorse settimane, ha risposto alle critiche affermando che il suo governo è quello che ha stanziato più risorse sulla sanità pubblica. A smentirla, oltre alle opposizioni, sono state stata la fondazione Gimbe e le associazioni di categoria, che hanno ricordato che la spesa sanitaria va calcolata rispetto al Pil e non come valore assoluto. “Un esempio di quanto le risorse siano insufficienti – conclude Boccone – è il raddoppio dell’indennità infermieristica – parliamo di appena 70 euro – che forse vedremo alla fine del 2026”.
Martina Benedetti: “Ci hanno celebrato cantando dai balconi e con tante pacche sulle spalle, ora siamo vittime di violenza”
In piazza si vede anche Martina Benedetti, infermiera simbolo della lotta al Covid e divulgatrice scientifica. Il suo viso segnato dalle protezioni, nel mezzo della pandemia, contribuì a far luce sui turni massacranti che medici e operatori sanitari dovettero sopportare per fronteggiare l’emergenza. Mostra un cartello con la scritta “protestiamo per potervi curare” e ci racconta come è cambiato il clima rispetto a quei giorni in cui il Paese si strinse per sostenerli. “All’epoca ci chiamavano, per me ingiustamente, ‘eroi delle corsie’, ma noi non abbiamo mai voluto essere eroi. Gli eroi si celebrano e infatti ci hanno celebrato con tante pacche sulle spalle e canzoni dai balconi. Non è questo quello che vogliamo: quello che vogliamo è un giusto riconoscimento economico e una dignità professionale. In Francia e in Germania investono sulla Sanità pubblica tra l’8 e il 10 per cento del Pil. Da noi un infermiere prende meno di 1.500 euro, su di lui gravano enormi responsabilità ed è anche costretto a pagarsi di tasca sua un’assicurazione, perché l’azienda non ti copre in caso di ‘colpa grave’. E dobbiamo pagare di tasca nostra anche la formazione per aggiornarci. Morale della favola, noi professionisti abbiamo delle spese da sostenere per lavorare e prendiamo stipendi tra i più bassi d’Europa; dopo di noi solo Grecia ed Estonia”.
Un altro tema ricorrente della protesta è la sicurezza. Sono sempre più i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che subiscono violenze nelle corsie. A scatenarle è soprattutto la carenza di personale, che genera lunghe attese e spesso pesanti disagi per i malati e i loro parenti, che sfogano la loro esasperazione scagliandosi contro il primo camice che incontrano. “Le violenze nei nostri confronti – continua Martina Benedetti – aumentano di giorno in giorno. Nell’ultimo anno abbiamo contato 16 mila denunce con 18 mila operatori coinvolti. E poi c’è tutto il sommerso delle persone che non denunciano, perché purtroppo quelli che lavorano nel privato e nel privato convenzionato preferiscono tacere per non rischiare di perdere il posto. Anche questo spinge molte persone ad abbandonare la professione: molti di noi, quando vedono che non c’è un riconoscimento economico e si rischia anche la propria incolumità, alla fine lasciano”. Benedetti torna poi sul possibile collasso del sistema, evocato dal suo “mentore”, Nino Cartabellotta: “Molti italiani – conclude – se possono ricorrono sempre più spesso alla sanità privata. E quando non possono rinunciano alle cure. Muoiono, non si curano, oppure entrano troppo tardi nel sistema sanitario pubblico. Non riescono a fare prevenzione e anche questo fa aumentare i costi”.
Santamaria (Anpse): “L’assistente infermiere non è un aiuto, ci rallenta il lavoro”
Insieme a Martina Benedetti c’è Libera Santamaria dell’Anpse, (Associazione nazionale dei professionisti sanitari in evoluzione). “Spesso non sappiamo neanche in che reparto dobbiamo andare a lavorare, perché veniamo spostati a causa della grave carenza di organico”, spiega Santamaria a Today.it, e poi spiega: “Non riusciamo a garantire le cure, un’assistenza adeguata e di qualità al malato. Le aggressioni non avvengono solo nei pronto soccorso, ma anche nei reparti. Come se non bastasse, il governo ha istituito la figura dell’assistente infermiere, che dovrebbe essere una figura di supporto al nostro lavoro: invece di avere una formazione di tre anni come quella necessaria alla nostra abilitazione, fa un corso di 4 mesi. E quindi su di noi grava anche la supervisione di queste figure, che spesso invece di essere d’aiuto rallentano il lavoro”.