Riflessioni sul risultato dei referendum e le reazioni politiche
Il primo punto da analizzare, sebbene la risposta possa apparire ovvia, è se i referendum rappresentino una chiara sconfitta. Questo tema deve essere affrontato, poiché purtroppo esistono ancora coloro che lo negano. Non tutti, però: va riconosciuta l’onestà intellettuale del Manifesto, uno dei quotidiani che ha sostenuto l’iniziativa, che ha ammesso la realtà attraverso il direttore Fabozzi e il politologo Valbruzzi. Per quale motivo negare l’evidenza? Nonostante alcune giustificazioni parzialmente valide, che attribuiscono la colpa unicamente alla Cgil, resta il fatto che il supporto a questa campagna era radicato anche in logiche politiche. Infatti, era considerata cruciale per definire il nucleo dell’alleanza tra il Pd, il M5s e l’Avs, a cui eventualmente altri possono unirsi. Dato che questo schema politico è quello che si intende mantenere, la sconfitta deve essere negata, riporta Attuale.
La seconda questione riguarda un aspetto più ampio: come affrontare le sconfitte. La maggior parte di coloro che negano questa realtà, almeno ai livelli decisionali, non si fida della propria propaganda, riconoscendo un dato di fatto. La loro base, sebbene insufficiente per vincere le elezioni, ha comunque tenuto; è quindi opportuno confortarla ribadendo la propria mobilitazione e adottando una strategia volta a mantenere il consenso, magari sperando che parte dell’elettorato deluso dal centrodestra possa astenersi alle prossime Politiche. In uno scenario peggiore, dato che il partito sembra avere più importanza del governo nazionale, ci si consolerà stando all’opposizione. Con il piccolo corollario che nel 2027 si giocherà non solo il governo, ma anche il Quirinale. In questa logica, il messaggio che proviene dall’alto è di rafforzare la purezza dello schieramento, il che può al contempo generare eccessi di zelo non voluti. Questo si spiega anche attraverso un caso locale significativo, il congresso comunale del Pd di Pisa, con violazioni statutarie così ampie da diventare un test di credibilità. Tali violazioni sono avvenute in un contesto caratterizzato da manifestazioni di intolleranza verso chi non è completamente in linea con il pensiero dominante. Sorprende, al momento, il silenzio degli organi di garanzia e degli enti politici a livello regionale e nazionale. Ignorano il fatto che, quando il conflitto si sposta dal piano politico a quello della legalità, senza un governante condotto, le conseguenze potrebbero essere devastanti, non facilmente contenibili.
Si osserva quindi un movimento in direzione opposta rispetto a quanto avvenuto nel principale partito della cosiddetta Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana, che dopo le sconfitte referendarie del 1974 (divorzio) e del 1981 (aborto), nonostante avesse mantenuto la grande maggioranza del suo elettorato, cambiò strategia prima delle elezioni politiche, sostituendo i segretari (Fanfani con Zaccagnini, Piccoli con De Mita). È vero che seguendo un simile approccio, si richiama anche l’esempio del Pci dopo il referendum sulla scala mobile del 1985, che non reagì in modo similmente vitale prima delle Politiche del 1987, dando il via a un lento declino che culminò nel fatidico 1989.