Questa settimana a Hong Kong si è commemorato un evento significativo: il 1° luglio celebra il 28esimo anniversario della restituzione della città alla Cina, che in precedenza era stata una colonia britannica. In quella occasione, la Cina si era impegnata a mantenere il controllo di Hong Kong secondo il principio di “un paese, due sistemi”, garantendo libertà di espressione, di parola e di protesta. Un altro anniversario di rilevanza è stato il giorno precedente, il 30 giugno, il momento in cui la Cina, cinque anni fa, tradì quella promessa, riporta Attuale.
Negli anni recenti, Hong Kong ha subito trasformazioni radicali. Fino al 2019, il 1° luglio rappresentava una giornata di mobilitazione per la democrazia, durante la quale migliaia di cittadini si riunivano per richiedere al governo maggiori diritti. Attualmente, tutte le manifestazioni pubbliche sono state proibite, e le cerimonie di commemorazione dell’anniversario sono limitate a funzionari e dignitari.
Le pubblicazioni un tempo indipendenti di Hong Kong hanno chiuso o sono state acquisite da imprenditori cinesi o legati al regime comunista. Numerosi attivisti sono stati arrestati. I partiti politici che spingevano per una maggiore democrazia si sono visti costretti a cessare le loro attività, come nel caso della Lega dei Socialdemocratici, che ha annunciato il proprio scioglimento domenica scorsa, citando una “pressione politica immensa”. Prima di essa, anche il Partito Democratico si era dissolto a febbraio e il Partito Civico nel 2023, entrambi a causa della repressione e degli arresti arbitrari.
La repressione oppressiva attuale di Hong Kong è iniziata il 30 giugno di cinque anni fa, quando il governo cinese impose una controversa legge sulla sicurezza nazionale, fornendo alle autorità un ampio margine per accusare di “sedizione, sovversione e secessione” chiunque criticasse il regime.
Questa legge (che è stata ulteriormente rafforzata da normative aggiuntive nel 2024) rappresentava la risposta delle autorità a massicce manifestazioni per la democrazia del 2019, che avevano visto partecipare quasi un quarto della popolazione di Hong Kong. Le autorità non solo hanno represso le proteste, ma hanno anche soffocato ogni forma di dissenso, arrestando oltre diecimila persone.
Oggi gli arresti proseguono, anche se in misura ridotta. Recenti indagini condotte da Amnesty International hanno rivelato che circa l’85% delle persone processate sotto la legge sulla sicurezza nazionale è stato perseguito ingiustamente per “forme di espressione legittima”.
Cinque anni dopo, l’assimilazione e la repressione a Hong Kong riguardano non soltanto il panorama politico e mediatico. Anche la società ha perso la vivacità e le libertà precedenti. I programmi scolastici, i libri per bambini, le canzoni e i videogiochi sono soggetti a censura. Molti artisti hanno lasciato la città, e l’industria cinematografica, una volta tra le più creative in Asia, è attualmente in crisi.
Il New York Times ha recentemente intervistato alcuni dei giovani arrestati nel 2019 per la loro partecipazione alle manifestazioni per la democrazia, condannati a pene da due a cinque anni di carcere. Ora liberi, continuano a subire ostracismo e boicottaggio, tanto dalle autorità quanto dalla società.
Molti di loro hanno visto i loro amici allontanarsi per paura delle ripercussioni associate a relazioni con chi è coinvolto nei movimenti democratici. Altri si trovano in difficoltà a trovare un lavoro o a continuare gli studi. Descrivono un clima di terrore, dove nessuno osa criticare il governo e ogni conversazione è avvolta nella cautela. “Abbiamo imparato a danzare lungo le linee rosse” imposte dal regime, ha dichiarato uno di loro.
Il governatore filocinese di Hong Kong, John Lee, in diverse occasioni ha definito le manifestazioni per la democrazia come un atto di sovversione e odio, sostenendo che la repressione derivante dalla legge sulla sicurezza ha permesso alla città di “tornare alla normalità”. “La stabilità è stata ripristinata”, ha affermato.