La fragilità del regime teocratico iraniano di fronte al conflitto
Il regime teocratico dell’Iran sta mostrando segni di debolezza e crescente impopolarità. Le recenti operazioni militari israeliane hanno colpito non solo i gruppi sostenuti dall’Iran all’estero, come Hamas e Hezbollah, ma hanno anche inflitto danni significativi alla catena di comando del potere militare iraniano. L’attenzione di Israele e degli Stati Uniti è rivolta non solo a contenere il programma nucleare iraniano, ma anche a considerare un potenziale «cambio di regime» come uno degli obiettivi secondari della guerra in corso. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha esortato i cittadini iraniani a ribellarsi per «recuperare la loro libertà», riporta Attuale.
Da quando è iniziata la guerra, il 12 giugno, le attese di manifestazioni significative in Iran non si sono concretizzate. Le uniche proteste registrate sono state contro le offensive. Diverse ragioni ne spiegano l’assenza. Anche se il regime è largamente disapprovato, la repressione violenta degli ultimi decenni ha lasciato il paese privo di un’opposizione organizzata, eccetto che per i gruppi etnici regionali come curdi o beluci.
Inoltre, la popolazione iraniana si mostra riluttante a rispondere a una chiamata all’insurrezione proveniente da Israele, dato che i bombardamenti israeliani colpiscono duramente anche civili e infrastrutture. Questo scenario potrebbe, al contrario, unire il paese contro quella che viene percepita come una minaccia esterna.
Attualmente, i principali gruppi di opposizione all’interno del paese operano principalmente dall’estero. Uno di essi è guidato da Reza Pahlavi, figlio dell’ultimo scià persiano, che auspica un ritorno della monarchia costituzionale. Negli ultimi giorni, Pahlavi ha invitato ripetutamente alla rivolta, sostenendo che sia «arrivato il nostro momento». Tuttavia, il suo seguito in Iran rimane limitato e una parte della popolazione sembra provare nostalgia per l’epoca pre-rivoluzionaria. È importante notare che la maggioranza della popolazione è molto giovane e non ha vissuto quel periodo storico, il che rende la sua legittimità alquanto fragile.
L’altro gruppo di opposizione significativo è il MEK (Mojahedin-e Khalq), attivo principalmente dall’Albania, che storicamente si è opposto allo scià e ha legami complessi con il governo iracheno durante la guerra Iran-Iraq. Sotto la leadership di Massoud e Maryam Rajavi, il MEK ha cercato di reinventarsi come un’organizzazione democratica e secolare, ma affronta seri problemi di legittimità in Iran, in particolare a causa del suo passato controverso.
Negli ultimi quindici anni, l’Iran ha visto numerosi movimenti di protesta spontanei contro il regime, l’ultima delle quali nel 2022 in seguito alla morte di Mahsa Amini. Queste manifestazioni evidenziavano richieste di maggiore libertà e diritti per le donne, culminando però in una violenta repressione che ha portato a centinaia di morti tra i manifestanti e migliaia di arresti, tra i quali alcuni sono stati condannati a morte.
Al giorno d’oggi, la situazione in Iran è caratterizzata da un monitoraggio severo delle libertà di espressione, complicando la comprensione delle reali intenzioni dell’opposizione. Le comunicazioni attraverso canali giornalistici esteri sono limitate, e la popolazione spesso esprime le proprie opinioni in forma anonima. Alcuni cittadini, pur riconoscendo la difficoltà di una ribellione, vedono positivamente gli attacchi condotti da Israele come unico modo per abbattere il regime. Tuttavia, l’opinione comune tende a ritenere questi inviti irrealistici e persino controproducenti.
In questa delicata fase, non si possono escludere ulteriori attività da parte di organizzazioni militari, come quelle curde e beluci, che potrebbero approfittare della debolezza del regime. Attualmente, la situazione è caratterizzata da un crescente numero di arresti precauzionali, specialmente nelle regioni curde, mentre l’accesso alle informazioni rimane limitato a causa della scarsa presenza di giornalisti. Questo vuoto informativo rende difficile valutare appieno le dinamiche interne e le potenziali esplosioni di protesta, lasciando l’Iran in un’ambigua fase di transizione e tensione.