La polemica sulla chiusura del punto nascita all’Ospedale Cosma e Damiano
È scoppiata una vivace controversia a seguito del rifiuto del ministero della Salute di concedere la deroga richiesta dalla Regione Toscana per la riapertura del punto nascita dell’Ospedale Cosma e Damiano. “Siamo profondamente indignati per il comportamento del ministero della Salute, che ha impiegato tre anni per fornire una risposta alla domanda inoltrata dalla Regione Toscana nel giugno 2022, riguardante il mantenimento del punto nascita del nostro ospedale”, affermano i rappresentanti di Uniti per Pescia. “Un’attesa così prolungata è inaccettabile, mai vista prima per una questione così fondamentale per la salute pubblica e il diritto delle donne a dare alla luce in sicurezza vicino casa”, riporta Attuale.
Ad alimentare la frustrazione è stata la rivelazione che la decisione del Ministero era già stata presa nel gennaio 2023, ma comunicata alla Regione Toscana con oltre due anni di ritardo. “Questo ritardo istituzionale suona come un vero e proprio schiaffo ai cittadini, che avevano il diritto di essere informati tempestivamente”, si lamentano i membri del gruppo politico. La risposta romana sembra essere un verdetto, sostiene Uniti per Pescia: “Il ministero ordina alla Regione di chiudere il punto nascita e, con un tono burocraticamente glaciale, richiede perfino la prova dell’avvenuta chiusura. Non c’è stata alcuna proposta, né un dialogo, ma semplicemente un ordine senza possibilità di replica. Non si è trattato di un confronto: questa è una sentenza senza appello. Per mesi, siamo stati contattati da cittadini preoccupati che chiedevano aggiornamenti, mentre a Roma, dove evidentemente la trasparenza è un concetto flessibile, la decisione era già stata presa e ben nota”.
Il gruppo di maggioranza si interroga sulle motivazioni di questo silenzio e sull’attesa prolungata prima che venisse resa pubblica una tale decisione. “Nel nostro ospedale continuano ad essere effettuati investimenti tramite il Pnrr, decisi dalla Regione Toscana per un totale di circa 14 milioni di euro, in particolare per il reparto di Ginecologia. Chiedevamo chiarezza e tempestività al ministero. Ci hanno risposto dopo tre anni, e non con un semplice parere, bensì con un diktat. È nostro dovere denunciare con forza la mancanza di trasparenza, il disinteresse verso le comunità locali e un modo di gestire la sanità pubblica che rischia di allontanare sempre di più i cittadini dalle istituzioni”.