L’Ue conferma von der Leyen, Meloni si astiene e resta ai margini (come Orban)

02.07.2024
L'Ue conferma von der Leyen, Meloni si astiene e resta ai margini (come Orban)
L'Ue conferma von der Leyen, Meloni si astiene e resta ai margini (come Orban)

Al summit di Bruxelles, 25 dei 27 leader del blocco hanno approvato il bis dell’attuale presidente della Commissione e le nomine di Costa (Consiglio) e Kallas (Alto rappresentante). La premier non ci sta, e adesso spera di far valere il suo peso al Parlamento europeo per ottenere “ciò che spetta all’Italia”

Alla fine, ha prevalso la linea dettata dalla maggioranza: nel corso del summit che si è chiuso giovedì notte a Bruxelles, i leader dell’Unione europea hanno concordato di concedere un secondo mandato alla tedesca Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. Con lei, a completare il quadro dei top job, le massime cariche delle istituzioni Ue, ci sono il portoghese Antonio Costa alla presidenza del Consiglio e l’estone Kaja Kallas che sarà Alto rappresentante per la politica estera. Giorgia Meloni, per il momento, ha dovuto accettare le scelte fatte 48 ore prima del vertice da quella che ha definito una “oligarchia”, ossia il summit ristretto dei capi di Stato e di governo di sei Paesi (Germania, Francia, Spagna, Olanda, Polonia e Grecia), in rappresentanza delle tre forze di maggioranza al Parlamento europeo (popolari del Ppe, socialisti del Pse, e liberali di Renew).

L’isolamento di Meloni

L’esclusione di Meloni dai negoziati era stato richiesto da socialisti e liberali, i quali hanno posto come condizione fondamentale alla riconferma di von der Leyen, che fa parte del Ppe, lo stop a qualsiasi accordo tra popolari e conservatori dell’Ecr, il partito europeo guidato dalla premier. I popolari hanno provato fino all’ultimo a mediare, con il leader del partito, Manfred Weber, e l’influente premier polacco Donald Tusk che hanno pubblicamente sostenuto la necessità di ottenere l’appoggio dell’Italia sulle nomine e di rispettare gli  “interessi” di “un Paese del G7, leader nell’Ue”. Dietro questo lavoro di mediazione c’è stata senza dubbio la mano del ministro degli Esteri Antonio Tajani, esponente di spicco del Ppe, nonché ex presidente del Parlamento e vicepresidente della Commissione.

La porta aperta a von der Leyen

Non è chiaro se i pontieri abbiano placato o meno l’ira di Meloni. Di sicuro c’è che, alla fine del summit, Meloni non ha potuto fare altro che seguire la strada fatta filtrare dal suo entourage alla vigilia: si è astenuta sull’elezione di von der Leyen, e ha votato contro Costa e Kallas. Dei 27 leader Ue, solo l’ungherese Viktor Orban non ha dato il suo consenso pieno al trio di nomine, mentre l’altro premier conservatore (dunque alleato di Meloni), il ceco Petr Fiala ha votato a favore. L’asse della destra, quindi, non ha funzionato, almeno al Consiglio.

“La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni”, ha scritto la premier su X a margine del summit. L’astensione su von der Leyen sembra però una porta lasciata aperta all’attuale capo dell’esecutivo Ue: “Il tema non è Ursula von Leyen ma quali sono le politiche che vuole portare avanti. E su questo non abbiamo risposte”, ha spiegato Meloni, aggiungendo comunque di essere sicura che all’Italia “sarà riconosciuto quello che le spetta”, ossia una vicepresidenza della Commissione, o un portafoglio pesante che copra i settori dell’industria e dell’agricoltura.

La corsa alla poltrona di peso

Per ottenere ciò, la premier userà con ogni probabilità l’arma dell’Ecr al Parlamento di Strasburgo: dalle urne europee, i conservatori sono usciti rafforzati, almeno per ora. Il gruppo dell’Ecr conta attualmente 83 deputati, ed è la terza forza dell’Eurocamera (anche se i 20 polacchi del Pis hanno fatto sapere che potrebbero uscire). Per essere confermata, von der Leyen avrà bisogno dell’appoggio della maggioranza dell’Aula, ossia di almeno 361 voti.

Popolari, socialisti e liberali contano nell’insieme 399 deputati. Sulla carta, i numeri ci sono, ma non tutti i deputati della maggioranza sosterranno il bis della leader tedesca: i franchi tiratori potrebbero essere una quarantina, secondo i calcoli che girano a Bruxelles. Ecco perché l’appoggio dei parlamentari conservatori potrebbe essere decisivo, anche solo dei 24 deputati di Fratelli d’Italia. Meloni proverà a far leva su questo, ma deve fare anche i conti con le mire degli altri leader, a partire dal francese Emmanuel Macron, che sembra voler puntare alle stesse poltrone richieste dall’Italia. Inoltre, il soccorso dei conservatori potrebbe venire vanificato (o ridimensionato) da un accordo tra von der Leyen e i Verdi, che le possono assicurare 54 voti.   

Il voto di fiducia del Parlamento

La partita vera per la premier (ma anche per la presidente della Commissione), dunque, comincia adesso. Von der Leyen inizierà la prossima settimana le sue trattative con i leader dei gruppi politici, che dovrebbero durare tre settimane (il voto al Parlamento è atteso per il 18 luglio, a meno di rinvii). “È molto importante per me lavorare al Consiglio con l’Italia, con tutti gli altri Stati, è un principio che ho seguito sempre”, ha detto la leader tedesca, aggiungendo che cercherà la fiducia anche al di fuori della maggioranza, lavorando con le “delegazioni nazionali” dei gruppi, ossia i singoli partiti come FdI.

Se von der Leyen riuscirà a ottenere la fiducia, tornerà a consultarsi con i leader dei 27 per formare la squadra dei commissari e definire i portafogli. Una volta fatta la squadra, le nomine dovranno passare nuovamente dal voto di fiducia del Parlamento, molto probabilmente a settembre. Se però l’attuale presidente della Commissione non dovesse ottenere il sostegno della maggioranza dei deputati, allora i capi di Stato e di governo dovranno trovare un sostituto in piena estate. Se dovesse succedere, sarebbe una prima volta nella storia dell’Ue. 

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