Una tregua non è per sempre. Mentre prova a capire che tipo di intesa si può raggiungere con gli Stati uniti sui dazi, la Cina non ha mai abbandonato la sua “prova di resistenza”. A Pechino non si fanno illusioni e sanno di restare comunque nel mirino della Casa bianca, come dimostrano le ultime restrizioni di Trump sui microchip e la sua mossa contro gli studenti stranieri di Harvard (un quinto dei quali sono cinesi), dove in passato ha studiato anche Xi Mingze, la figlia di Xi Jinping.
La “resistenza” cinese passa attraverso la “circolazione interna”, soprattutto con lo stimolo dei consumi e l’accelerazione del percorso con cui si aspira a una (complicata) autosufficienza tecnologica. «È la strada giusta e il fondamento del nostro futuro sviluppo economico», ha detto Xi qualche giorno fa durante una visita alla Luoyang Bearing Group, storica azienda statale che dal 1954 contribuisce a vari maxi progetti nazionali. Anche le big tech sono pienamente “arruolate”, dopo la campagna di rettificazione che le ha prese di mira negli scorsi anni.
Xiaomi ha appena annunciato un imponente piano di investimento da 7 miliardi di dollari nel settore dei semiconduttori, proprio quello in cui Pechino sta cercando di colmare un divario che Washington vuole invece ampliare escludendola dalle catene di approvvigionamento più avanzate. Un tentativo che potrebbe rivelarsi «un fallimento», come ha detto nientemeno che Jensen Huang, amministratore di Nvidia.
«Bloccare l’esportazione dei chip alla Cina si ritorce contro le aziende americane», ha aggiunto, durante una visita a Taiwan per il Computex. Nvidia sta peraltro per lanciare un nuovo chipset per l’intelligenza artificiale destinato esclusivamente alla Cina, come lo stesso Huang aveva promesso ad aprile durante una visita a Pechino. La produzione di massa dovrebbe essere avviata già a giugno.
Huawei, che per la narrativa del Partito comunista ricopre un ruolo speciale dopo essere sopravvissuta alla fatwa trumpiana, ha invece presentato i primi due modelli di computer a utilizzare HarmonyOS, il sistema operativo sviluppato in house e alternativo a Windows e Apple.
C’è poi la “circolazione esterna”, con un’agenda diplomatica più che mai densa e ambiziosa. Dopo il recente forum coi paesi dell’America latina e dei Caraibi, il governo cinese guarda Sud-est asiatico, paesi del Golfo e isole del Pacifico. L’obiettivo è trovare nuove sponde contro quello che Pechino definisce «bullismo unilaterale». Oggi il premier Li Qiang partecipa al summit Asean in Malaysia, teatro del primo vertice trilaterale tra Cina, blocco del Sud-est asiatico e Consiglio di cooperazione del Golfo.
È stato già trovato l’accordo per l’aggiornamento dell’accordo di libero scambio Cina-Asean, ma si prevedono ulteriori sviluppi, per esempio sull’ampliamento dell’utilizzo delle monete nazionali nelle transazioni finanziarie, con lo scopo di schermare l’interscambio commerciale da sanzioni e dazi.«”Il vertice mira a sincronizzare i punti di forza complementari delle tre parti: l’Asean come polo produttivo e mercato emergente, il Golfo come potenza energetica e finanziaria, la Cina come motore di consumo dotato di una catena industriale integrata», scrivono i media statali cinesi.
Sul fronte politico, si continua a lavorare per un codice di condotta navale, anche se le tensioni per le dispute territoriali del mar Cinese meridionale restano accese, soprattutto con le Filippine.
Sempre oggi, il ministro degli esteri Wang Yi presiede un incontro con gli omologhi delle isole del Pacifico meridionale, dove Pechino si proietta con forza già da qualche tempo. In cambio di investimenti e sostegno sul fronte della sicurezza (come nel caso delle Isole Salomone), la Cina ha ottenuto la rottura dei rapporti diplomatici con Taiwan e un canale favorevole in una regione sempre più strategica. Wang porrà l’accento anche sulla cooperazione nel contrasto al cambiamento climatico, tema assai sentito tra i paesi insulari che in alcuni casi rischiano di sparire sott’acqua. Un altro modo per presentarsi come potenza responsabile, a fronte della retromarcia climatica degli Usa.
Non è tutto. A giugno è in programma il secondo summit tra la Cina e le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Xi dovrebbe andare in Kazakistan per chiudere nuovi accordi sul gas, alternativi o complementari a quelli con la Russia. Il leader guarda anche all’Europa. Nei giorni scorsi ha parlato con il francese Macron e il tedesco Merz, continuando a far aspettare Trump.