Missili iraniani contro basi Usa, colpi duri su Teheran

24.06.2025 05:25
Missili iraniani contro basi Usa, colpi duri su Teheran

di
Davide Frattini

Le autorità della Repubblica Islamica minimizzano l’entità dei danni causati dai bombardamenti, mentre annunciano una risposta «significativa» contro le basi statunitensi, definendola un’operazione «telefonata».

DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV – L’esplosione provoca il crollo della cancellata che i prigionieri percepivano chiudersi alle loro spalle, avvolti da un’angoscia metallica simile alle sbarre delle celle. Dietro le mura di Evin, il regime islamico ha fatto sparire gli oppositori e li ha torturati, per restituirli — se accadeva — menomati alle loro famiglie. Questo luogo simboleggia il potere autocratico esercitato dagli ayatollah, colpito dall’aviazione israeliana durante intensi bombardamenti, concentrati principalmente su Teheran. Distrutte le basi dei pasdaran sparsi su tutto il vasto territorio della capitale, affinché gli iraniani non dimentichino chi detiene il potere, soprattutto quando passano davanti, tenendo gli occhi bassi.

Le caserme

Colpito il quartier generale dei Basij, le milizie incaricate di reprimere le contestazioni. Le operazioni hanno avuto come obiettivo anche le caserme della polizia e dell’esercito, e l’edificio dove si riuniva il comando, decimato all’inizio di questi undici giorni di conflitto. «Stiamo attaccando la macchina della repressione», dichiara Israel Katz, il Ministro della Difesa israeliano. In tal senso, una bomba ha distrutto l’orologioil raid ordinato da Donald Trump sui siti nucleari. La risposta, attesa come «coordinata», viene comunicata da fonti di Teheran al New York Times: l’allerta viene data solo poche ore prima del lancio di missili verso la base americana in Qatar, elevando il livello di allerta anche in Iraq, Bahraini e Kuwait. Sono già passate 36 ore dai bombardamenti con i B-2, e Ali Khamenei, la Guida Suprema, non ha ancora rilasciato commenti ufficiali: i suoi consiglieri sottolineano che il numero dei missili inviati è pari a quello americano, come a dire: «siamo alla pari». Se il contrattacco resta limitato — come nel 2020 dopo l’uccisione di Qassem Soleimani — il regime potrebbe dimostrare di voler fermare lo scontro, almeno con Washington.

Gioco di squadra

L’aviazione di Tsahal continua a operare sopra i cieli dell’Iran, mentre le forze dell’altra parte mirano a colpire il Qatar, e l’obiettivo per i piloti include anche la difesa da eventuali controffensive, in un «gioco di squadra» esaltato da Trump. Benjamin Netanyahu ha visitato una delle basi da cui partono i missili Arrow, parte del sistema di difesa, dichiarando: «Raggiungeremo la vittoria totale, niente di meno», lo stesso slogan adottato durante il conflitto contro Hamas a Gaza. In giacca scura e camicia bianca, si siede nei tavolini del mercato di Rishon Letzion, mentre un missile è caduto poco lontano qualche giorno fa, gustando una porzione di falafel. Questo atto sembra aprire la campagna elettorale. Il portavoce delle Forze armate, Effie Defrin, afferma: «Abbiamo ancora molti obiettivi da colpire. Eliminare ogni elemento coinvolto nei piani di attacco contro di noi». I raid di ieri sui palazzi governativi rientrano nell’intento di promuovere un «cambio di regime» tanto agognato da Netanyahu. Nel contempo, fonti a Gerusalemme annunciano la volontà di concludere l’operazione entro la fine settimana. Abbas Araghchi, Ministro degli Esteri iraniano, ha incontrato Vladimir Putin al Cremlino, ricevendo solo un generico sostegno al popolo iraniano. Potrebbe essere Teheran a scegliere la strategia della guerra di logoramento: 2-3 missili lanciati alla volta, ma in attacchi ripetuti, con sirene che ieri mattina hanno suonato incessantemente per 40 minuti, costringendo l’intera Israele a rifugiarsi. I membri più estremisti della coalizione non nascondono le loro ambizioni: «Continueremo fino alla caduta degli ayatollah». Sara, la moglie del primo ministro, invia un messaggio agli iraniani: «Non siamo vostri nemici. La nostra guerra è contro il regime tirannico. Crediamo in un futuro di pace, libertà e amicizia tra i nostri popoli». L’analista Yossi Melman esprime preoccupazione per il fatto che il governo sembra ridefinire gli obiettivi del conflitto quotidianamente, mentre i costi, anche sociali, aumentano esponenzialmente. Aryeh Deri, leader del partito ultraortodosso Shas e vicino a Netanyahu, è stato criticato per aver affermato in un’intervista che «il 7 ottobre ha salvato la nazione da peggiori massacri, rivelando i piani dell’Iran».

La strage

All’alba di due anni fa, i terroristi di Hamas assalirono i villaggi nel Sud del Paese, provocando la morte di 1.200 israeliani; 50 di loro sono stati rapiti e sono ancora tenuti a Gaza, con solo una ventina in vita. Questo disastro ha colpito il primo ministro, al potere per 14 degli ultimi 16 anni, che non si è mai assunto la responsabilità. I familiari delle vittime e dei sequestrati lamentano che non ha mai visitato i kibbutz devastati dagli attacchi, mentre recentemente si è recato nei luoghi colpiti dai missili iraniani.

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