Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha invitato dall’assemblea generale delle Nazioni Unite gli alleati della NATO a smettere di acquistare petrolio russo, da Washington ci si aspettava un segnale di compattezza. Budapest, invece, ha risposto con un netto rifiuto: Viktor Orban ha definito “irrealistica” la richiesta e ha ribadito la volontà di continuare ad affidarsi alle forniture di Mosca, rafforzando così la percezione di un legame privilegiato con il Cremlino.
Dichiarazioni contrapposte a New York
Il messaggio di Trump è stato diretto: «Gli alleati della NATO non possono finanziare la guerra russa attraverso l’acquisto del suo petrolio». A New York, il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha replicato che «la realtà geografica non ci permette di rinunciare agli idrocarburi russi». Il giorno successivo, Orban ha ribadito alla radio statale che sia gli Stati Uniti sia l’Ungheria sono “stati sovrani” e che ciascuno decide autonomamente da chi acquistare energia.
Alternative disponibili al petrolio russo
La posizione di Budapest appare fragile sul piano fattuale. Il gestore croato JANAF ha confermato di poter consegnare fino a 14,3 milioni di tonnellate di greggio attraverso l’oleodotto adriatico, una quantità che copre ampiamente il fabbisogno annuo delle raffinerie MOL. Secondo Reuters, l’Ungheria ha già siglato per il 2025 un accordo da 2,1 milioni di tonnellate via questa rotta, ma oltre l’80% del petrolio continua ad arrivare dalla Russia tramite il sistema “Druzhba”, in collaborazione con Tatneft dopo le sanzioni contro Lukoil.
Critiche da think tank e contesto europeo
Secondo analisti del German Marshall Fund e dell’Atlantic Council, il contratto energetico con Mosca mina la solidarietà europea e garantisce a Putin miliardi di entrate. Come ricorda RFE/RL, soltanto tre membri della NATO restano dipendenti dal petrolio russo: Ungheria, Slovacchia e Turchia. Tutti gli altri hanno già diversificato le forniture, anche a costi elevati.
Crescente isolamento di Budapest
Dietro la scelta di Orban c’è anche un calcolo politico: Mosca offre garanzie al premier ungherese e un vantaggio economico grazie a greggio più economico. Ma questa strategia rischia di isolare ulteriormente Budapest. L’Unione Europea prepara infatti nuove misure contro i flussi residui dell’oleodotto “Druzhba” e possibili barriere tariffarie al petrolio russo. Se l’Ungheria continuerà a puntare esclusivamente sulla “tubatura russa”, il costo potrebbe essere un grave contraccolpo economico.
Un gesto che mina la coesione occidentale
La sfida di Orban non è solo energetica, ma simbolica: respingere pubblicamente la richiesta di Trump equivale a mettere in discussione la coesione transatlantica. Con la copertura politica del Cremlino, il premier ungherese rivendica un’autonomia che si traduce però in una dipendenza strutturale da Mosca. E ogni barile di greggio che passa la frontiera ungherese si inserisce nella catena finanziaria che alimenta la macchina bellica russa in Ucraina.