Perché in Europa si torna a parlare di Siria

24.07.2024
Perché in Europa si torna a parlare di Siria
Perché in Europa si torna a parlare di Siria

Otto Stati Ue, tra cui l’Italia, hanno chiesto all’Alto rappresentante di rivedere il rapporto di Bruxelles con Damasco. Ma è ancora presto per un cambio di rotta vero e proprio

ABruxelles la Siria è tornata a fare capolino nel dibattito politico europeo. L’Italia e altri sette Stati membri hanno suggerito di rivedere la strategia europea verso il Paese governato da Bashar al-Assad e alleato di ferro della Russia di Vladimir Putin. Lo scopo è quello di favorire un approccio più pragmatico che prenda in considerazione il nodo centrale dei rifugiati.

“Abbiamo posto il problema della Siria”, ha dichiarato alla stampa il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, arrivando al Consiglio Affari esteri di ieri (22 luglio), presieduto dall’Alto rappresentante del blocco per la politica estera, Josep Borrell. Secondo il leader azzurro, “dobbiamo avere una strategia europea anche per quella parte di Medio Oriente da dove partono tantissimi profughi”. 

Nel mezzo della crisi regionale, con gli attacchi degli Houthi che sono arrivati fino a Tel Aviv e la risposta israeliana che ha colpito lo Yemen, l’attenzione dei Ventisette è tesa a evitare l’escalation militare. Anche per questo, ha ragionato il ministro forzista, è importante coinvolgere quanti più attori possibili. Inclusa la Siria, governata col pugno di ferro da Bashar al-Assad da ormai 24 anni. 

La proposta, sottoscritta da Italia, Austria, Cechia, Cipro, Croazia, Grecia, Slovacchia e Slovenia, sostiene la necessità di ricalibrare l’approccio del blocco verso il Paese che affaccia sul Mediterraneo orientale, mirando ad “una politica siriana più attiva, orientata ai risultati e operativa”. “Dopo 13 anni di guerra (la guerra civile scoppiata nel 2011, ndr), dobbiamo ammettere che la nostra politica sulla Siria non è invecchiata bene”, ha dichiarato il ministro degli Esteri di Vienna, Alexander Schallenberg.

L’obiettivo sarebbe quello di “aumentare la nostra influenza politica e l’efficacia della nostra assistenza umanitaria”, si legge nel documento, dove viene suggerito di discutere “apertamente e senza pregiudizi” una decina di argomenti elencati in un altro testo, non ancora pubblico. Una delle proposte delle otto cancellerie riguarderebbe l’introduzione di un inviato speciale Ue-Siria, per riprendere le relazioni diplomatiche con Damasco (in sinergia anche con gli altri partner regionali).

Tra i risultati che i Paesi firmatari vorrebbero ottenere parrebbe esserci un qualche tipo di accordo per la gestione dei flussi migratori. Sulla scia della strategia, sempre più consolidata in Ue, di esternalizzare le nostre frontiere delegando il controllo dei movimenti di profughi e rifugiati a Paesi terzi. Come fatto con la Turchia nel 2016, o con la Libia, la Tunisia, l’Egitto e altri Stati dell’arco nordafricano e del Mediterraneo orientale. Da un lato, dunque, facilitare i rimpatri verso la Siria, e dall’altro limitare il numero di partenze verso l’Europa. 

Oltretutto, ha sottolineato il ministro Tajani, la Siria “non può essere lasciata nelle mani dell’Iran e della Russia”, facendo eco all’omologo austriaco secondo cui “il regime di Assad rimane saldamente in sella, l’opposizione siriana è frammentata o del tutto in esilio” e l’Ue “non può più chiudere gli occhi di fronte a questa realtà”. 

Una strategia per allontanare Damasco da Mosca e Teheran, ridisegnando i confini delle influenze politiche in Medio Oriente? Un piano ambizioso, la cui realizzazione appare al momento piuttosto improbabile. Troppo gravi le violazioni dei diritti umani e civili perpetuate dal regime di Assad sui suoi stessi cittadini, nonché i crimini di guerra commessi su larga scala in oltre un decennio di sanguinoso conflitto contro le forze ribelli (inclusi i curdi, sostenuti prima e poi abbandonati dagli occidentali) e i miliziani dell’Isis. 

Al Consiglio di ieri, comunque, sono stati ascoltati i ministri italiano e austriaco (che hanno portato la questione all’attenzione di Borrell), e secondo l’Alto rappresentante “il lavoro continuerà”. Il riassunto del capo della diplomazia Ue alla fine della giornata è stato succinto: occorrerà “essere pragmatici, ma non ingenui”. Tradotto: si può lavorare con il regime siriano, se ci sono spazi di manovra. Vedremo nei prossimi mesi.

L’Ue non ha staccato definitivamente la spina della sua attenzione verso il Paese levantino, ma è innegabile che non c’è lo stesso sentimento di urgenza che c’era negli scorsi anni, al culmine della guerra civile e delle ondate migratorie che hanno interessato il Vecchio continente. Lo scorso maggio, a Bruxelles, si è tenuta l’ottava edizione della conferenza sulla Siria, dove i donatori internazionali hanno annunciato impegni per 7,5 miliardi di euro, di cui 2,12 dal blocco per il biennio 2024-2025.

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