Il Piano Trump per la Striscia di Gaza: Trasferimenti Forzati e Sviluppo Futuro
Un nuovo piano per la ricostruzione della Striscia di Gaza, noto come GREAT (Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation), è stato discusso alla Casa Bianca. Questa proposta prevede il trasferimento forzato di gran parte dei due milioni di residenti, con l’idea di creare un resort di lusso sotto il controllo americano per un decennio, riporta Attuale.
Il documento, visionato dal Washington Post, invita a spostare «temporaneamente» gli abitanti in altri Paesi o in aree delimitate all’interno di Gaza fino al termine dei lavori di ricostruzione. Sebbene la proposta includa una clausola di «volontarietà» per tali trasferimenti, i palestinesi e molti esperti internazionali hanno denunciato l’iniziativa come un atto di pulizia etnica. Ai proprietari di terre arabo-palestinesi verrebbe offerto un «portafoglio digitale» per costruirsi una nuova vita, ricevendo 5.000 dollari e sussidi per 4 anni di affitto e un anno di alimentazione.
Secondo un’analisi del Financial Times, il piano prevede la realizzazione di grattacieli in vetro e acciaio, accompagnati da una zona industriale nel nord di Gaza, dove si prevede la produzione di veicoli elettrici e altre innovazioni. Il progetto include anche isole artificiali nel mare, ispirandosi a strategie urbanistiche storiche come quella di Hausmann per la Parigi del XIX secolo.
Durante un incontro alla Casa Bianca, il presidente Trump ha collaborato con i suoi consulenti, compresi Jared Kushner e Tony Blair. Si stima che l’investimento per la realizzazione del piano ammonti a 100 miliardi di dollari, finanziato da fonti pubbliche e private, mantenendo l’intento di non far assumere alcun costo agli Stati Uniti. Tuttavia, il Tony Blair Institute ha negato qualsiasi appoggio all’idea di spostare la popolazione attuale.
Dietro al piano si trovano imprenditori israeliani legati alla Gaza Humanitarian Foundation, il cui operato durante la distribuzione di aiuti è stato caratterizzato da confusione e inefficienza. Allo stesso tempo, la situazione nella regione continua a deteriorarsi, con segnalazioni di violenze e repressioni, in particolare da parte delle forze israeliane contro le popolazioni palestinesi. Si stima che circa 1.500 persone siano state uccise nelle vicinanze dei centri di distribuzione.
Ad aumentare la complessità della situazione è l’opposizione di Benjamin Netanyahu a qualsiasi ruolo dell’Autorità palestinese nel dopo guerra, mentre l’Egitto, supportato dai Paesi del Golfo, si prepara a schierare 10.000 soldati per aiutare a ripristinare l’ordine nella regione, molti dei quali provenienti dalle forze di sicurezza del presidente Abu Mazen.