Un mix di fattori, tra cui l’addio ai gasdotti russi, le difficoltà dell’eolico, le basse scorte di gas nel continente, stanno portando a fluttuazioni incredibili dei mercati che sfociano in costi spesso altissimi
I mercati dell’energia in Europa sono in fibrillazione, con prezzi in continuo cambiamento da settimane e che spesso raggiungono picchi e livelli record. Le cause di questi sbalzi sono molteplici e a volte diverse nelle varie ogni zona dell’Ue: il freddo che fa aumentare i consumi per il riscaldamento, la riduzione delle forniture russe (soprattutto in vista della chiusura degli ultimi gasdotti ancora aperti), le difficoltà del settore eolico in alcune parti del continente e il calo delle scorte di gas, che ha portato a un aumento della domanda di Gnl.
Una doccia a oltre quattro euro
Le conseguenze di questi sbalzi di prezzo si ripercuotono sull’economia e sulla vita quotidiana dei cittadini. In Svezia, la situazione è particolarmente preoccupante in alcune regioni, con i costi di una semplice doccia che nei momenti peggiori hanno superato l’equivalente di quattro euro. Il quotidiano svedese Aftonbladet ha fotografato la situazione nelle diverse parti della nazione, evidenziando differenze significative tra un luogo e l’altro.
Ad esempio, una doccia di 10 minuti a Malmö è arrivata a costare l’equivalente di più di 49 corone svedesi (4,25 euro), rispetto alle 3 corone svedesi (0,26 euro) nel nord del Paese. Queste differenze sono dovute al fatto che alcune parti della nazione sono dipendenti dalle forniture straniere, come appunto nel sud dove si trova Malmö, e altre sono autosufficienti e si affidano a produzioni locali che garantiscono spesso prezzi molto convenienti.
La ministra dell’Energia, Ebba Busch, ha annunciato giovedì (12 dicembre) che Stoccolma è pronta a introdurre nuove misure per affrontare l’impennata dei prezzi dell’energia, puntando il dito contro la Germania, uno dei principali fornitori della Svezia, per la sua scelta di abbandonare il nucleare.
“Sono furiosa con i tedeschi. Hanno preso una decisione per il loro Paese, che hanno il diritto di prendere. Ma questa decisione ha avuto conseguenze molto gravi, anche per la competitività dell’Ue, perché vediamo che quella tedesca è calata in modo significativo”, ha dichiarato la ministra. Berlino ha chiuso ufficialmente lo scorso aprile le ultime tre centrali nucleari rimaste, concludendo una politica di eliminazione graduale iniziata nei primi anni Duemila e accelerata dopo il disastro di Fukushima nel 2011.
Il fattore Dunkelflaute
L’impennata dei prezzi non è ovviamente dovuta solo all’addio al nucleare tedesco e sta colpendo sempre più Paesi europei, Italia compresa. Un altro fattore rilevante in alcune parti del continente è il cosiddetto Dunkelflaute, termine tedesco che descrive un periodo in cui è possibile generare poca o nessuna energia eolica o solare.
La carenza di energia verde in alcune parti d’Europa costringe a bruciare maggiori quantità di combustibili fossili: gas soprattutto, ma anche carbone, lignite e derivati del petrolio. In Germania, Polonia e Regno Unito, per diversi giorni di novembre, le aziende di servizi pubblici hanno dichiarato di essersi affidate alle riserve di gas per produrre elettricità a fronte della minore produzione eolica.
Nel solo mese di novembre, i prezzi del contratto di riferimento del gas nel continente (il Ttf olandese) sono aumentati di oltre il 25 per cento, il 55 per cento se si considera l’intero anno, raggiungendo i 48,2 euro per megawattora, il prezzo più alto del 2023. Già si prevedeva un aumento dei prezzi a causa del taglio dell’ultimo gasdotto russo verso l’Ue attraverso l’Ucraina, il cui contratto scade l’ultimo giorno del 2024, ma tuttavia la situazione è peggiorata, complice un inverno più freddo del previsto che ha messo ulteriore pressione sul mercato.
La Mecca del Gnl
La quota di gas russo importato via gasdotto dagli Stati membri è scesa dal 40 per cento del totale nel 2021 a circa il 9 per cento nel 2023. Tuttavia, secondo recenti dati Crea, l’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto russo (Gnl) nel blocco ha portato la quota totale al 18 per cento, con un incremento di quasi il 5 per cento rispetto al 2022. In generale, la domanda di Gnl in Europa è in forte crescita. Lo stoccaggio è pieno all’81 per cento, in calo rispetto al 91 per cento dell’anno scorso e sotto la media quinquennale dell’83 per cento. Molti Paesi stanno correndo ai ripari.
Le aziende del settore, vedendo nell’Europa un mercato molto fruttuoso per il gas, stanno riorientando i loro ordini verso il vecchio continente, facendone la Mecca per le navi metaniere, che prima erano dirette in Asia. La società di consulenza energetica Energy Intelligence sottolinea che “i prezzi medi di consegna del Gnl all’Europa sudorientale per le prossime quattro-otto settimane sono balzati a 14,3 dollari, offrendo, in un colpo solo, un vantaggio di 50 centesimi rispetto agli ordini in Asia”. Basta pensare che, fino a poco tempo fa, i mercati asiatici godevano di un vantaggio di due dollari rispetto al vecchio continente: le cose sono chiaramente cambiate.