Shirin Ebadi: «Aumenta la repressione in Iran, ma rifiuto la guerra civile»

29.06.2025 07:45
Shirin Ebadi: «Aumenta la repressione in Iran, ma rifiuto la guerra civile»

Intervista a Shirin Ebadi: prospettive e speranze per l’Iran

Shirin Ebadi, giurista e attivista iraniana, insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2003, si è espressa riguardo alla situazione attuale dell’Iran, rispondendo da Londra. Riporta Attuale.

Qual è stata la sua reazione al discorso di “vittoria” di Ali Khamenei e ai funerali di Stato?
«Ho riso. È ridicolo proclamare una vittoria quando le milizie sono state distrutte, il programma nucleare e missilistico è in crisi, e l’economia è in difficoltà. La protesta è in aumento, e tutta questa situazione fa ridere».

La notizia del cessate il fuoco l’ha sorpresa?
«Mi ha riempita di gioia. Le esplosioni non hanno colpito solo i membri del regime, ma hanno devastato le infrastrutture cittadine e causato vittime tra i civili. Spero che le guerre finiscano, non c’è mai una giustificazione valida per iniziarle».

Nei rapporti dall’Iran si parla di un aumento della repressione.
«Sì, è stato significativo. Durante le ultime due settimane di conflitto, oltre 1.000 persone sono state arrestate senza accuse credibili. La situazione nelle carceri è drammatica, con un aumento di imprigionamenti e torture. In seguito al bombardamento di Evin, molti prigionieri politici sono stati trasferiti in altre strutture carcerarie, con condizioni di vita peggiori».

Ha sperato in un cambiamento di regime durante queste due settimane?
«Il cambiamento deve essere voluto dal popolo iraniano. È inaccettabile che si ponga fiducia in un “cambio di regime” con l’aiuto di potenze esterne come Stati Uniti o Israele. La popolazione non si lascia influenzare da figure come Donald Trump o Benjamin Netanyahu; agirà quando sentirà di essere pronta».

L’indebolimento della Repubblica islamica porterà di nuovo la gente in piazza come nel 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini?
«Da decenni gli iraniani si battono contro la dittatura; questa battaglia non è nuova. La guerra dimostra la debolezza del regime degli ayatollah e dà una spinta al popolo, nonostante le minacce. Quando gli iraniani riterranno opportuno tornare a protestare, lo faranno. Circa il 90% della popolazione si oppone al regime; una dittatura con una simile percentuale di dissenso non può perdurare a lungo».

Alcuni analisti sostengono che il movimento “Donna, Vita, Libertà” sia stato significativo ma pacifico; esistono gruppi interni capaci di supportare future proteste pacifiche?
«Se parliamo di gruppi armati, io sono contraria. L’armamento significa guerra civile e non voglio nemmeno immaginare un simile scenario. Gli iraniani sperano in un cambiamento pacifico, senza morte o distruzione».

Da Teheran giungono notizie di una lotta interna per la successione.
«Sono in contatto con diversi iraniani e tutti confermano che questa guerra interna va avanti da anni, e gli eventi recenti non hanno fatto altro che intensificare le rivalità. Alcuni sostengono che anche la morte dell’ex presidente Ebrahim Raisi sia avvenuta in questo contesto conflittuale».

Qual è la sua opinione sul programma nucleare?
«Come molti iraniani, sono contraria. È un’ambizione folle che ha fatto pagare un prezzo altissimo al Paese. La guerra con Israele è una conseguenza di scelte sconsiderate; in una sola notte, praticamente tutto è andato distrutto».

Alcuni iraniani dicono di non voler negoziare, ritenendo che trattare con il regime significhi legittimarlo.
«Per quanto riguarda i negoziati tra Trump e la Repubblica islamica, credo sia sempre meglio dialogare. Non significa che funzionerà, dobbiamo osservare a cosa porterà. L’alternativa al dialogo è esclusivamente la guerra. Che cosa è preferibile?».

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