Quattromila soldati della guardia nazionale e settecento marines a Los Angeles, prova generale e inizio di un’operazione militare su vasta scala, una guerra non più solo metaforica, ma reale, che Trump intende condurre con fredda consapevolezza.
Nel corso della sua presidenza per annientare – «obliterare», per usare un suo termine -, anche con la forza militare, ogni forma di opposizione, politica e sociale. Ora appare ancora più chiaro il perché della rimozione dei massimi vertici militari, una delle prime decisioni prese dopo l’insediamento, irrituale per velocità e disprezzo delle forme.
VIA IL GENERALE Charles Brown, il primo nero a ricoprire la carica di capo degli stati maggiori riuniti. Via la scorta al generale Mark Milley, il predecessore di Brown, distintosi per essersi opposto alle manovre golpiste di Trump nel suo primo mandato e per aver ammonito sul rischio di una torsione autoritaria di un suo secondo mandato. Ed ecco il nuovo capo del Pentagono, Pete Hegseth, alcolista e molestatore, che in quattro mesi ha fatto piazza pulita in tutti i posti apicali della Difesa. E con lui Dan Cain, il nuovo capo delle forze armate, il primo a ricoprire il massimo incarico militare senza neppure essere un generale a quattro stelle. Non ci vorrà molto per capire fino a che punto è arrivato il repulisti nel Pentagono e se è tale da annientare ogni possibile forma di resistenza interna alla folle avventura di soldati e marines che dovrebbero sparare contro inermi concittadini.
UNO SCENARIO di guerra alimentato dalla costruzione di un nemico immaginario, con la diffusione massiccia da parte del mondo trumpista di immagini fotografiche e video create ad arte o manipolate di immigrati invasori, immigrati terroristi – ormai nel lessico di Trump la parola migrant è associata a un’attività criminale. È il film di una vera e propria insurrezione orchestrata e messa in atto da “stranieri”, operazione mostruosa e infame trattandosi di proteste legittime e pacifiche, che peraltro interessano solo alcuni quadranti della metropoli californiana.
Il primo campo di battaglia è dunque la California, e la sua città più importante, Los Angeles. Lo stato numero uno degli Stati Uniti. Non ne facesse parte, sarebbe nella lista delle prime più ricche e importanti nazioni del mondo. Lo stato di Gavin Newsom.
La figura più forte in campo democratico e candidato presidenziale in pectore. Che Trump ha spodestato, togliendo al governatore il comando della guardia nazionale californiana e arrivando a minacciarne l’arresto. Con il sostegno attivo, sui social e non solo, dell’ineffabile Elon Musk, che, sull’onda dello scontro con la California democratica, sta cercando di tornare a bordo della barca di Trump.
In neppure cinque mesi la radicalizzazione della Casa Bianca supera ogni argine. Il disinvestimento militare in tradizionali aree di presenza americana è funzionale allo spostamento e allo spiegamento di truppe ai confini, ma anche al loro impiego in chiave di controllo, intervento e repressione domestica, specie negli stati e nelle città governate dai democratici.
SE QUESTI SONO i primi quattro mesi e mezzo della presidenza Trump, i prossimi saranno nel segno di un ulteriore, progressivo e inesorabile scivolamento verso un potere autoritario – già lo è in buona misura. Dice Newsom: «Non si può lavorare con Donald Trump.. Puoi solo lavorare PER Donald Trump». Da autoritario diventerà fatalmente dittatoriale, se non sarà fermato.
LE PROTESTE di Los Angeles – e, per solidarietà, di Santa Ana, Dallas, Austin, New York – al di là del merito specifico della salvaguardia dei diritti fondamentali di chi vive e lavora negli Usa, fosse anche “irregolare”, mettono bene in chiaro, nella reazione delle Casa bianca, il disegno golpista che ha in mente Trump fin dal suo ingresso nella politica e che ora si squaderna in tutta la sua evidenza.
Si vedrà presto se il pugno di ferro può zittire l’opposizione di piazza alle retate e ai raid contro lavoratori immigrati, anche residenti da decenni negli Usa. Fino a che punto si radicalizzerà – se dichiarata di fatto fuori legge – quella che è a tutti gli effetti un’ondata di contestazione e di solidarietà pacifica?
In America circolano più armi da fuoco che abitanti. Con una presidenza solidamente sostenuta dalla lobby delle armi, la loro diffusione ed esibizione sono incontenibili. È di questi giorni la decisione dell’amministrazione repubblicana di consentire l’applicazione di grilletti a ripetizione a comuni fucili e pistole, rendendole di fatto mitragliatrici.
IL PROSSIMO capitolo della guerra di Trump sarà segnato da sparatorie di cittadini giustizieri contro altri cittadini e immigrati per dar man forte ai soldati? E non ci sarà una reazione simmetrica? Il far west è dietro l’angolo ed è questo che vuole Trump. E tra tre giorni la grande parata militare da lui voluta per celebrare il suo compleanno.