Veto a Bruxelles: Budapest e Bratislava fermano nuove misure punitive
23 giugno 2025, Bruxelles. Ungheria e Slovacchia hanno impedito l’adozione del 18° pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia, bloccando il processo durante la riunione dei ministri degli Esteri dei Ventisette. Le due capitali hanno motivato il veto con la tutela dei propri interessi energetici nazionali, sollevando forti critiche da parte di altri membri dell’UE che accusano i due governi di indebolire il fronte comune europeo contro l’aggressione russa in Ucraina.
Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha dichiarato che il suo Paese non accetterà misure che compromettano l’accesso a gas naturale e petrolio russo, mentre il premier slovacco Robert Fico aveva avvertito in anticipo che Bratislava non avrebbe sostenuto ulteriori sanzioni senza soluzioni concrete per fronteggiare l’impatto interno della perdita di forniture energetiche.
Una crepa nel fronte europeo
Il blocco delle nuove sanzioni rappresenta una frattura significativa nel fronte europeo. Mentre la Russia continua la guerra contro l’Ucraina e mina la sicurezza del continente, il rifiuto di rafforzare il regime sanzionatorio contro Moscamina gli sforzi collettivi dell’UE e fornisce vantaggio strategico al Cremlino.
Secondo osservatori diplomatici, le azioni di Ungheria e Slovacchia — due Paesi che confinano direttamente con l’Ucraina — sollevano preoccupazioni crescenti all’interno dell’Unione. Viene messo in discussione non solo il principio della solidarietà europea, ma anche la coerenza dell’UE come attore geopolitico credibile nel contesto della sicurezza europea e della difesa dei valori democratici.
Un gioco pericoloso con Mosca
Il ricorso alla tutela dei “propri interessi nazionali” da parte di Budapest e Bratislava è visto da molti governi europei come una copertura per un avvicinamento politico alla Russia. Le dichiarazioni pubbliche e la linea diplomatica degli esecutivi di Viktor Orbán e Robert Fico rivelano una strategia coerente di allineamento con Mosca, che non riflette necessariamente la volontà delle rispettive popolazioni.
Secondo fonti dell’UE, si tratta di una dinamica sempre più evidente: Mosca utilizza regimi filorussi all’interno dell’Unione per influenzare decisioni strategiche, ostacolando sforzi comuni e allungando i tempi di risposta a crisi cruciali come l’aggressione all’Ucraina.
Rischi per la stabilità europea
Il fallimento nell’approvazione del nuovo pacchetto sanzionatorio comporta un indebolimento della pressione economica sulla Russia, consentendole di continuare il riarmo e proseguire le operazioni militari. Inoltre, crea un pericoloso precedente all’interno del Consiglio UE, dove l’unanimità richiesta su questi temi diventa un’arma politica nelle mani di governi disallineati.
Prolungare la guerra senza un’escalation nella risposta significa anche esporre l’UE a nuove crisi migratorie, destabilizzare le frontiere orientali e alimentare la percezione di vulnerabilità dell’Europa. Aumentano così i rischi sistemici per la sicurezza collettiva, in un momento in cui la coesione interna e l’azione rapida sono fondamentali.
Il pressing per una risposta unitaria
In questo contesto, diversi Stati membri e rappresentanti istituzionali europei chiedono un rilancio della strategia sanzionatoria e un rafforzamento degli strumenti per aggirare i veti interni. Il diritto dell’Ucraina alla legittima difesa — sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite — rimane un pilastro fondamentale del sostegno europeo, che richiede misure economiche incisive contro l’aggressore.
Il ritardo nel rafforzamento delle sanzioni non è solo un gesto politico: è un fattore concreto che potrebbe prolungare la guerra in Ucraina e compromettere gli obiettivi di stabilizzazione del continente. La credibilità dell’Unione Europea si gioca anche sulla capacità di agire con decisione di fronte alle sfide geopolitiche più critiche della sua storia recente.