Oggi, a Roma, si tiene il secondo incontro per i negoziati tra Stati Uniti e Iran sul programma nucleare iraniano. A mediare sarà l’Oman, anche se il vertice è ospitato dall’Italia.

A Roma oggi parte il secondo round di negoziati sul programma nucleare iraniano tra i rappresentanti degli Stati Uniti e quelli di Teheran. Il primo si era svolto una settimana fa a Muscat, in Oman, e sono proprio gli omaniti a fare da mediatori nelle trattative, anche se l’Italia si è proposta come Paese ospite.
Le delegazioni sono di alto livello: per l’Iran è presente il ministro degli Esteri Abbas Araghchi, mentre gli Stati Uniti l’inviato speciale Steve Witkoff, imprenditore che Trump ha incaricato delle relazioni nel Medio oriente e che si occupa anche di Russia e Ucraina, nonostante non abbia avuto esperienze diplomatiche in passato. Ci sarà anche il ministro degli Esteri dell’Oman Badr Albusaidi, con la funzione di mediatore. I media iraniani hanno riportato che Araghchi è arrivato in Italia attorno alle 7 di questa mattina.
Pochi giorni fa le autorità iraniane avevano detto che l’incontro si sarebbe svolto nuovamente in Iran, e non a Roma, perché la presenza negli stessi del vicepresidente statunitense JD Vance era considerata uno ‘sgarbo’ diplomatico. Successivamente però, forse dopo rassicurazioni da parte degli italiani, è arrivato il via libera per l’incontro. Per l’Italia è una buona occasione dal punto di vista delle relazioni internazionali: le permette di presentarsi come terreno neutrale mantenendo i rapporti con entrambi i Paesi. Antonio Tajani, ministro degli Esteri, secondo Adnkronos dovrebbe avere faccia a faccia con tutti e tre i partecipanti al summit.
L’incontro, come detto, è di alto livello anche perché il tema è delicato. Negli ultimi giorni le attività diplomatiche dei cosiddetti ‘sherpa’, i funzionari che si incontrano prima dei vertici per fissare i paletti dei negoziati, sono state intense. La capacità nucleare dell’Iran è da tempo un tema che agita i Paesi occidentali. Il timore è che Teheran si doti di un’arma atomica. Un accordo internazionale era arrivato nel 2015, sotto la presidenza di Barack Obama, ma nel 2018 proprio Donald Trump ha deciso di tirare fuori gli Stati Uniti. Da allora, Teheran ha superato i livelli consentiti dall’accordo, anche se continua a sostenere che non ha intenzione di procurarsi un’arma nucleare. Ora le trattative sono in corso per trovare una seconda intesa.
Questa settimana il New York Times ha riportato che proprio Trump avrebbe bloccato i piani di Israele di colpire le centrali nucleari iraniane, perché il presidente statunitense avrebbe preferito proseguire le trattative piuttosto che passare all’offensiva militare. Quando interrogato dai cronisti sulla questione, Trump ha detto: “Non ho fretta di farlo”, cioè di attaccare, “perché penso che l’Iran abbia una possibilità di essere un grande Paese e vivere felice senza morte”. Questa, ha detto, è “la mia prima opzione. Se c’è una seconda opzione, penso che sarebbe molto brutta per l’Iran”.
La minaccia di un’offensiva militare, insomma, non è sparita. Ma il vertice di oggi può servire ad abbassare le tensioni, se ne usciranno dei risultati convincenti. Non è un caso che l’inviato speciale Witkoff negli ultimi giorni abbia incontrato in modo più o meno informale i rappresentanti di Francia, Germania e Regno Unito, oltre a diversi esponenti del governo israeliano: il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer, che è anche uno dei consiglieri più vicini a Benjamin Netanyahu, e il direttore del Mossad David Barnea. È noto che la linea israeliana nei confronti di Teheran è decisamente dura, con numerosi raid militari anche negli scorsi mesi. Da parte sua invece il ministro iraniano Araghchi si è recato ieri a Mosca, dove ha incontrato Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergey Lavrov.
In giornata, sui social, il consigliere della Guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, Ali Shamkhani, ha scritto: “Il team iraniano è a Roma con pieni poteri per stringere un accordo basato su nove principi: serietà, garanzie, equilibrio, nessuna minaccia, velocità, rimozione delle sanzioni, rifiuto del modello Libia/Emirati Arabi Uniti, limitare i Paesi ostili (come Israele) e facilitare gli investimenti. Non per arrendersi”.