Il governo prova a sbloccare il problema delle liste di attesa in sanità con un decreto e un disegno di legge. Si punta sul più ampio coinvolgimento della sanità convenzionata. Crisanti: “Regalo ai privati, vanno sbloccate le visite in intramoenia”
Una vera e propria piaga che, da Nord a Sud, mette ormai in discussione il diritto alla Salute degli italiani. Le interminabili liste di attesa degli ospedali pubblici sono da tempo un problema anche per il Governo, costretto a correre ai ripari con un decreto che ha ottenuto la luce verde del Parlamento dopo molte polemiche e un disegno di legge ad hoc. E se in molti sottolineano come, in assenza di cambi strutturali e maggiori finanziamenti, queste misure rischiano di trasformarsi nella celebre “coperta di Linus”, per qualcuno i ritardi della nostra sanità sono già un business.
Il Cup unico regionale e i soldi in più ai privati accreditati
Il “piatto forte” del decreto legge, approvato dal Parlamento lo scorso 16 luglio, che dovrà ora fare un ulteriore passaggio in Senato, è senz’altro l’istituzione di un centro di prenotazione unico (Cup) a livello regionale. Su queste piattaforme dovranno figurare per legge anche i privati convenzionati e tutte le aziende sanitarie accreditate dalle regioni di riferimento. Sono loro che dovrebbero fornire le prestazioni in caso di liste di attesa bloccate.
“Quando chiamiamo i pazienti in lista d’attesa spesso sono già morti”: i tagli alla sanità che ci accorciano la vita
Non è una novità assoluta, i Cup che operano a livello regionale sono già previsti dal 2016, ma pressoché in tutte le regioni il progetto è ancora in alto mare. Interessante invece è la maggiore interazione tra pubblico e privato con le strutture convenzionate chiamate direttamente in causa a gestire i ritardi di una sanità pubblica sempre più farraginosa.
Nel decreto legge non sono indicati al momento nuovi fondi, si attingerà da quanto stanziato dai precedenti governi. Ma un maggior afflusso di finanziamenti verso i privati convenzionati sembra molto probabile.
Del resto già la legge di bilancio 2024 aveva reso possibile l’incremento delle risorse verso il privato allentando la rigidità dei tetti di spesa delle aziende sanitarie per una somma di circa 600 milioni di euro.
E un disegno di legge approvato lo scorso 4 giugno dal consiglio dei ministri, che dovrà ora affrontare il suo iter parlamentare, ha previsto un ulteriore allentamento dei vincoli di spesa verso i privati da parte delle strutture pubbliche dell’1 percento, più di 100 milioni di euro. La direzione sembra insomma tracciata, ma la sinergia non convince certo tutti.
“Foraggiare i privati e non pagare adeguatamente il personale pubblico, non riconoscendone ad esempio gli straordinari, è scandaloso. Inoltre questo decreto chiede ai medici, che sono sempre meno e che sono già oberati, del lavoro extra. Siamo all’assurdo” chiosa a Today.it Pierino di Silverio, presidente di Anaoo Assomed, uno dei più grandi sindacati dei medici italiani. E il problema è anche economico.
Se il privato ci costa tre volte di più: perché puntare sull’intramoenia
“Il decreto Schillaci ha stabilito che con il centro unico di prenotazione le prestazioni vengano smistate sui privati, ma con loro lo Stato paga di più” sottolinea a Today,it, Andrea Crisanti, virologo e oggi senatore Pd.
Da qualche giorno Crisanti ha lanciato una petizione su Change.org che in pochi giorni ha raccolto 75mila firme. Si richiede l’utilizzo dell’intramoenia per combattere il problema delle liste bloccate in sanità. Parliamo della pratica che consente ai medici ospedalieri della sanità pubblica di esercitare la libera professione al di fuori del normale orario di lavoro, utilizzando le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell’ospedale con il pagamento, da parte del paziente, di una somma aggiuntiva rispetto al ticket.
Oggi, in caso di liste bloccate, la possibilità di richiedere una visita in intramoenia esiste già, ma con un procedimento molto complesso. La proposta di legge propone invece un automatismo. Se i tempi di attesa nei Cup superano del 50 percento quelli delle visite in intramoenia, l’accesso alla visita intramuraria deve essere gratis e la prestazione deve essere pagata dall’azienda sanitaria. Se i tempi di attesa sono invece addirittura superiori del 75 percento, le visite in intramoenia devono essere temporaneamente sospese fino al riequilibrio del sistema.
“È una specie di multa per l’azienda che però conviene allo Stato, a differenza delle misure ideate dal Governo – sottolinea Andrea Crisanti – Se un paziente paga 100 per visite intra-murarie, di solito il medico incassa tra il 50 e il 60, il resto va all’azienda sanitaria. L’intramoenia in Italia vale 1 miliardo, ma 400 milioni di euro vanno nelle casse degli ospedali pubblici. Una visita da un ospedale privato convenzionato invece costa allo Stato, e quindi a tutti noi, quasi il triplo”.
Gli affari d’oro della sanità privata e la fuga dal pubblico
Quello che è certo è che nell’Italia delle liste di attesa interminabili, la sanità è sempre più un business per chi sa fiutare l’affare e muoversi bene all’interno delle istituzioni.
“I privati usano i soldi dei contribuenti per fini completamente diversi dal pubblico e hanno margini di profitto ormai enormi – sottolinea Andrea Crisanti – In pochissimi, ad esempio, hanno reparti di pronto soccorso e rianimazione, di traumatologia o di neurochirurgia, perché sono attività costosissime, che non convengono. E tutti scelgono le prestazioni con più margini di profitto, ad esempio l’80 percento degli interventi per protesi ortopediche vengono ormai erogati da privati. Per non parlare del rischio di impresa praticamente nullo”.
Ogni anno infatti le convenzioni con la sanità privata vengono spesso rinnovate automaticamente dalle Regioni, generalmente basandosi sullo storico delle prestazioni, senza gara, né aste. E le convenzioni si trasformano in rendite su cui si può guadagnare per anni. “Non a caso l’Italia è il secondo Paese dell’area Ocse dove il privato pesa di più dopo gli Stati Uniti. Se uniamo le spese pubbliche verso il privato convenzionato e le spese cosiddette ‘out of pocket’ degli italiani, arriviamo a numeri esorbitanti” sottolinea Andrea Crisanti.
Il tutto mentre negli ospedali pubblici continua la fuga senza fine dei medici e anche l’intramoenia, spesso additata come una delle cause dei ritardi della sanità, potrebbe essere un falso problema. “Il medico oggi non solo non fa l’intramoenia, perché non gli conviene, ma se ne va dagli ospedali. Nel 2023 sono andati via dal sistema sanitario nazionale 3mila medici di età compresa tra 43 e 55 anni, l’anno precedente erano duemila: è un trend in ascesa. Intanto escono sempre meno medici dalle scuole di specializzazione – sottolinea Pierino Di Saverio – nella pratica clinica se noi abbiamo un’emorragia in ingresso e in uscita il paziente sta morendo, non c’è possibilità di salvarlo”.
Uno scenario a tinte fosche su cui sarebbe necessaria una netta inversione di rotta. Il problema? La sanità in crisi si è trasformata, nel tempo, anche in una torta invitante. Ovviamente per pochi.