Il mistero di Liliana Resinovich: omicidio o suicidio?
Di certo c’è solo che la verità è morta. Con queste parole, Tommaso Besozzi apre il racconto della tragica fine del bandito Salvatore Giuliano nel 1950, un incipit che si adatta perfettamente alla vicenda di Liliana Resinovich, una 63enne scomparsa il 14 dicembre 2021 dopo aver lasciato la sua abitazione a Trieste alle 8.30 del mattino. Il suo corpo è stato rinvenuto il 5 gennaio 2022, in due sacchi neri, accanto a casa, nel parco di San Giovanni. Questo caso rappresenta l’epitome dell’incertezza della prova scientifica in un procedimento penale. In altre parole, è l’esempio lampante di come la prova scientifica possa essere manipolata, esattamente come un chewing gum, in base agli interessi delle parti coinvolte. Nel caso di Resinovich, non c’è oggettività: le perizie e le autopsie affermano cose contrastanti.
Inizialmente, la procura ha ritenuto che si trattasse di un suicidio, motivato dalla triste esistenza personale di Liliana, e non sono state trovate evidenze di violenza sul corpo della donna. Pertanto, il caso è stato archiviato. Apparentemente chiaro, non è vero? Fuori di pregiudizi. Poi, come direbbe Gino Bartali, tutto è da rifare. L’archiviazione è stata contestata, il cadavere è stato riesumato e una seconda autopsia ha ottenuto risultati opposti: Liliana era stata uccisa. Sono stati riscontrati segni sul corpo, tra cui una leggera frattura alla lamina della seconda vertebra toracica, elemento pertanto compatibile con un’aggressione. In questo frangente, viene indagato il marito Sebastiano Visintin, 73 anni. Sarà solo una coincidenza, ma tra il primo e il secondo esame, cambiano il capo della procura di Trieste, il pubblico ministero incaricato e i vertici della questura. Uomini e donne mutano, similmente cambia la linea investigativa e, di conseguenza, anche le prove scientifiche.
Secondo l’attuale posizione della procura, Visintin avrebbe assassinato la moglie lo stesso giorno della sua scomparsa, il 14 dicembre. Il giorno seguente si presenta in questura Claudio Sterpin, 83 anni, il quale dichiara: “Quella mattina lei doveva venire a casa mia, ma non si è mai presentata.” Sterpin aveva avuto una relazione con Liliana quattro decenni fa e rilascia anche testimonianze circa la volontà di Liliana di lasciare il marito. Ma tutto sembra essere più complesso di quanto si immagini. L’unico dato certo è che Liliana non c’è più. Anzi, ce n’è un altro: qualcuno, prima o dopo, ha clamorosamente sbagliato nell’indagine e un potenziale assassino è ancora a piede libero.
In un contesto di tale confusione, è fondamentale riflettere sulle ambiguità legate alle indagini e sulle tecniche utilizzate per raccogliere prove. Il caso di Liliana Resinovich mette in luce i limiti della scienza forense e le difficoltà nella ricostruzione della verità, contribuendo a un crescente scetticismo nei confronti della giustizia. Con ogni nuovo sviluppo, ci si interroga su quali passi futuri debbano essere intrapresi per giungere a una conclusione definitiva. Non ci sono risposte facili, ma uno è certo: la ricerca della verità in questo caso continua.», riporta Attuale.