Mentre in Europa Volkswagen ha imposto ai propri dipendenti un piano di tagli da 10 miliardi, nel gigante asiatico continua a produrre veicoli elettrici. Gli stessi che finiranno nel mirino dei dazi imposti da Bruxelles
Quando la Volkswagen ha annunciato ieri un “piano di ristrutturazione con conseguente taglio dei costi per rendere più competitivo e sostenibile il marchio a lungo termine” ha dato una chiara idea della natura del modello di crescita improntata sulla transizione energetica e sull’austerità: effettuare una marea di tagli e licenziamenti forzati in Germania. Certamente, i piani di riduzione dei costi della Volkswagen incontreranno una forte resistenza da parte dei sindacati, che detengono quasi la metà dei seggi nel consiglio di sorveglianza dell’azienda, l’organismo che nomina i dirigenti, ma si teme un’ondata di licenziamenti di molti dei 295mila lavoratori tedeschi.
Nel mirino del management del gruppo automobilistico tedesco è finito anche lo storico stabilimento di Wolfsburg. Si prevede che domani mattina la dirigenza della Volkswagen esporrà i propri piani a circa 18mila lavoratori durante un’assemblea cittadina a Wolfsburg, ma – secondo quanto riportato dalla Cnbc – il colosso automobilistico “potrebbe premere per la chiusura degli stabilimenti di Osnabruck in Bassa Sassonia e Dresda in Sassonia”.
La politica di austerità mirata alla Germania
Da tempo lo stabilimento a Wolfsburg tocca con mano la politica di austerità voluta dal gruppo automobilistico. Dopo aver cancellato il progetto per realizzare un nuovo impianto avveniristico nella città tedesca, i vertici aziendali negli scorsi mesi hanno deciso di annullare la produzione della ID.3. Per la Casa tedesca le motivazioni sono semplici: una domanda bassa del modello.
Certo, Volkswagen ha scelto di concentrare la gran parte della produzione della sua berlina elettrica nell’impianto di Zwickau, ma non sono mancati i finanziamenti all’estero. In particolare verso quel paese extra Ue che rappresenta il grosso delle entrate del gruppo: la Cina.
Gli investimenti in Cina
Mentre in Germania Volkswagen ha imposto ai propri dipendenti un piano di tagli da 10 miliardi, nel gigante asiatico fa grossi affari. La Casa tedesca ha avviato diverse joint venture in Cina, come la Volkswagen Anhui Automotive con il gruppo cinese JAC Automobile (dopo quelle storiche con SAIC Motor e FAW), con quartier generale a Hefei, nella provincia orientale dell’Anhui che, secondo le intenzioni dei vertici aziendali, è destinata a diventare “uno dei centri di competenza globali del gruppo per la mobilità elettrica”. Tradotto: sarà il più grande centro di approvvigionamento e ricerca e sviluppo del gruppo Volkswagen al di fuori dei confini tedeschi.
Ma non solo. Dallo stabilimento di Volkswagen di Anhui nasce il suv elettrico Cupra Tavascan. Purtroppo per la Tavascan il passaporto cinese rappresenta un grosso problema. Anche il suv elettrico prodotto nello stabilimento della Volkswagen Anhui Automotive non sfuggirà infatti ai dazi che l’Unione europea imporrà alle auto elettriche prodotte in Cina.
I tempi d’oro, quindi, stanno per finire. Il marchio tedesco sta infatti perdendo quote di mercato in Cina: nella prima metà dell’anno, le consegne ai clienti cinesi sono calate del 7% rispetto allo stesso periodo del 2023. L’utile operativo del gruppo è crollato dell’11,4% a 10,1 miliardi di euro. Le scarse prestazioni di vendita nella Repubblica popolare sono il risultato di una società che sta privilegiando i marchi locali di veicoli elettrici, in particolare BYD e AION.