Per scoraggiare future aggressioni da parte di Putin si punta su forniture di armi, sviluppo dell’industria e una clausola sul modello dell’Articolo 5. L’Italia sarà tra i Paesi pronti a garantire che, in caso di ulteriori attacchi, soccorrerà Kiev armi in pugno?
Volodymyr Zelensky ha ribadito che l’Ucraina non richiederà di essere ammessa nella Nato. Un tentativo era stato fatto nel febbraio scorso, con la disponibilità a dimettersi se il suo Paese fosse stato accolto nell’Alleanza Atlantica. Questo rimane un’ipotesi non seriamente presa in considerazione, soprattutto da quando Donald Trump è ritornato alla Casa Bianca, riporta Attuale.
L’ombrello della Nato
Domenica a Berlino, il colloquio tra Zelensky e i delegati americani, Steve Witkoff e Jared Kushner, ha enfatizzato l’importanza di proteggere l’Ucraina tramite il principio fondamentale della Nato: in caso di aggressione, tutti gli alleati reagiscono a sostegno di un partner attaccato. Per Kiev, questa rappresenta la più efficace garanzia di sicurezza, a patto che vengano limitati i margini di discrezionalità previsti nel piano russo-americano di 28 punti, divulgato il 20 novembre. Questo documento stabilisce che sarà il presidente degli Stati Uniti, dopo consultazioni con Kiev e la Nato, a decidere come rispondere a eventuali attacchi russi.
Zelensky e i partner europei nutrono timori che Trump possa adottare una reazione blanda, come l’implementazione di leggere sanzioni economiche, qualora gli Stati Uniti avessero assunto un impegno vincolante a intervenire, sulla base di una legge approvata dal Congresso. Rimane da vedere se nelle discussioni di oggi e nei giorni scorsi a Berlino, questa indicazione verrà confermata da Witkoff e Kushner.
La lista dei volenterosi (con o senza l’Italia?)
Non basta. Kiev desidera comprendere quali altri Paesi, oltre agli Stati Uniti, sarebbero pronti a sostenere l’Ucraina militarmente.
Finora, l’unico riferimento disponibile rimane il documento “annesso” al piano Trump, nel quale sono espressamente menzionati Francia, Regno Unito, Germania, Polonia e Finlandia. Ma riguardo agli altri Paesi? Il 5 settembre scorso, durante una riunione della “Coalizione dei volenterosi” a Parigi, 26 Stati hanno dichiarato la loro disponibilità a garantire sicurezza a Kiev.
Tuttavia, la lista delle nazioni non è stata mai divulgata, e l’argomento è rimasto generico. Per gli ucraini è giunto il momento di chiarire cosa siano disposti a fare concretamente gli altri partner.
Questa è anche una richiesta che riguarda l’Italia. Giorgia Meloni parteciperà oggi al summit di Berlino con Zelensky e altri leader europei. È stata lei a proporre, sebbene tra lo scetticismo generale, di introdurre una clausola di sicurezza simile all’articolo 5 della Nato.
Deterrenza diffusa
Il dibattito è aperto anche su alternative forme di deterrenza. La proposta franco-britannica di dispiegare una forza multinazionale in Ucraina, una volta conclusi i combattimenti, sembra ormai accantonata. Tuttavia, Germania, Danimarca, Polonia e altri ribadiscono l’importanza di continuare a fornire armi all’esercito ucraino, anche dopo la conclusione del conflitto.
Trump, cedendo a una delle richieste di Vladimir Putin, intende imporre un raggruppamento delle forze armate ucraine: da 800 mila a 600 mila soldati. Zelensky e i leader europei stanno tentando di convincere Witkoff e Kushner che l’incremento della potenza dell’esercito ucraino ridurrebbe le probabilità di un intervento militare statunitense a difesa del Paese. La sfida sarà mandatario dire “no” a Putin.
Alleanze industriali
In aggiunta, gli europei hanno avviato una serie di iniziative per ampliare la base dell’industria militare ucraina. La Danimarca ha iniziato lo scorso anno, non inviando armi ma investendo in aziende di Kiev. Come evidenziato da Gianluca Di Feo nel suo libro Il cielo sporco (Guanda edizioni), in Ucraina si sta sviluppando una rete sorprendentemente fitta di aziende, piccole e medie, tutte ad alto livello tecnologico. Tuttavia, adesso servono fondi. La Commissione europea ha incluso l’Ucraina tra i Paesi che possono partecipare ai progetti finanziati dei 150 miliardi di euro messi a disposizione dal Safe (Security Action for Europe). Se attuato, ciò diventerà un’importante garanzia di sicurezza per l’Ucraina. Resta da vedere come procedere.