37 miliardi da spendere in 8 mesi: la missione impossibile di Giorgia Meloni

04.09.2024
37 miliardi da spendere in 8 mesi: la missione impossibile di Giorgia Meloni
37 miliardi da spendere in 8 mesi: la missione impossibile di Giorgia Meloni

La spesa dei fondi Pnrr va a rilento, le modifiche proposte dal governo hanno spostato tutto in avanti verso il 2026: i progetti cambiano, alcuni possono saltare. La situazione

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è in ritardo, ma non è una notizia. L’attuazione del Pnrr in Italia sta incontrando varie difficoltà, come rilevato più volte dalla Corte dei Conti e testimoniato anche dalle proposte di modifica e tagli del governo Meloni inoltrate alla Commissione europea. Proprio mentre si parla del ministro che gestisce il Pnrr, Raffaele Fitto, come nuovo commissario Ue, la Corte dei Conti dell’Unione europea fa il punto sull’avanzamento dei vari piani nei paesi membri: la situazione non è semplice.

A che punto è il Pnrr italiano

L’importo complessivo del Pnrr italiano è di 194,4 miliardi di euro, di cui 122,6 miliardi sono sotto forma di prestiti e 71,8 miliardi in sovvenzioni. 

A quanto ammontano i fondi Pnrr per l'Italia
I fondi Pnrr per l’Italia: la suddivisione

L’avanzamento del Piano va a rilento: come certificato dalla Corte dei Conti, difficoltà amministrative e la volontà del ministro Fitto di accentrare tutta la gestione dei fondi nelle mani di Palazzo Chigi hanno rallentato la macchina burocratica. Nel tempo il governo Meloni ha infatti letteralmente “spostato” in avanti la spesa, posticipandola il più possibile verso la data di scadenza del piano. Forse troppo.

Secondo l’ultima rilevazione della Corte dei conti dell’Ue, il 62% degli investimenti previsti nel Pnrr dell’Italia dovrà essere finalizzato negli ultimi 8 mesi del 2026: vuol dire che in questo periodo l’Italia dovrà realizzare il 28% degli obiettivi per ricevere il 19% dei fondi. Fanno circa 37 miliardi di euro, quasi due leggi di bilancio. C’è da considerare che dal 2021 a ora, secondo l’ultimo monitoraggio della Ragioneria dello Stato, risulta che sono stati spesi 49,5 dei 102,5 miliardi ricevuti. La metà.

Il video in cui Meloni afferma che l'Italia è prima in Europa nella spesa Pnrr
Il video in cui Meloni afferma che l’Italia è prima in Europa nella spesa Pnrr

Giorgia Meloni ha spesso affermato che “l’Italia è prima nella spesa dei fondi Pnrr”. In valori assoluti l’Italia è quella che riceve più soldi dall’Unione Europea, è vero, ma in realtà bisognerebbe considerare che i piani di ripresa e resilienza non sono uguali per tutti e gli obbiettivi concordati con la Commissione Ue variano da paese a paese. Se si rapporta la spesa rispetto al totale che ognuno dovrebbe raggiungere la situazione cambia. 

Spesa e avanzamento del Pnrr: confronto Italia Ue, il grafico
Spesa e avanzamento del Pnrr: confronto Italia Ue (Fonte: Corte dei Conti Ue)

Come si vede nel grafico sopra, l’Italia è tra i paesi con la quota più alta di fondi da ricevere e obbiettivi ancora da raggiungere. Alla fine del 2023 l’Italia aveva ricevuto il 46% dei fondi a lei destinati tramite il Recovery Fund e realizzato in “modo soddisfacente” il 34% delle misure previste. Avevano fatto meglio solo Francia e Lussemburgo, ma secondo i dati più aggiornati anche Danimarca e Malta sono davanti all’Italia. 

Perché l’Italia non riesce a spendere il Pnrr: “Soldi da restituire”

Il vero nodo dell’Italia per l’attuazione del Pnrr e l’uso dei fondi del Recovery Fund che lo finanzia è la pubblica amministrazione. La speciale relazione della Corte dei conti dell’Ue sulla capacità di assorbimento dei fondi sottolinea come “nel marzo 2023 l’istituzione superiore di controllo italiana ha rilevato difficoltà relative all’elevato avvicendamento del personale assunto e ha sottolineato che le procedure per l’attuazione del Pnrr erano complesse e molte autorità non disponevano ancora dell’organico necessario”.

Anche la Corte dei Conti italiana aveva espresso preoccupazione sulla nuova organizzazione che si era dato il governo Meloni grazie al ministro Fitto, che aveva accentrato la spesa di tutti i fondi europei nelle mani di Palazzo Chigi, eliminando anche la struttura dell’Agenzia della coesione territoriale. All’epoca, i giudici contabili sottolineavano che questi cambiamenti si sarebbero dovuti adottare “senza soluzione di continuità”, per evitare “rischi di rallentamenti nell’azione amministrativa proprio nel momento centrale della messa in opera di investimenti e riforme”.

“Il punto è che i soldi destinati non siano sperperati, devono essere usati per gli scopi cui sono stati assegnati”, ha dichiarato Ivana Maletic, relatrice della Corte dei conti europea, in un briefing con la stampa sull’avanzamento dei Piani nazionali di ripresa e resilienza.

“Il regolamento attuale non prevede la possibilità di chiedere indietro i soldi nel caso di mancata attuazione dei progetti. Molti fondi sono stati assegnati ad esempio con la firma dei contratti ma dovrà poi essere valutata l’effettiva attuazione di quei progetti, quindi il completamento dei lavori. Probabilmente, nel caso di ritardi o mancati lavori, non verrà pagata l’ultima rata. Che in molti casi prevede tanti traguardi e obiettivi da raggiungere”.

I progetti Pnrr in ritardo: cosa salta

Nel tempo, il governo Meloni ha apportato varie modifiche al piano con alcuni progetti posticipati, altri depotenziati e altri ancora eliminati: è stato ritardato l’obiettivo di notificare l’aggiudicazione di tutti gli appalti pubblici per la costruzione di 2.500 stazioni di ricarica rapida per veicoli elettrici entro il secondo trimestre del 2023, visto che nessuno aveva presentato domanda per una parte della misura, principalmente per la carenza di materie prime. L’Italia ha poi formulato la proposta di rinviare la misura, che è stata accettata dalla Commissione.

Il Pnrr italiano comprendeva anche un investimento per lo sviluppo di infrastrutture per la produzione di energia elettrica offshore, con il ricorso anche a tecnologie sperimentali che utilizzano le correnti e il moto ondoso per generare energia pulita. Dopo consultazioni pubbliche e di ulteriori indagini da parte delle autorità italiane, è emerso che il processo di autorizzazione dei progetti beneficiari della misura era incompatibile con il periodo in cui dovevano spendersi i fondi. Così, il governo ha chiesto di eliminare la misura, cosa che la Commissione ha accettato pur avviando una valutazione.

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