Teheran ha promesso di punire Israele “per i suoi crimini e la sua arroganza”, ma sa che Tel Aviv ha una potenza militare molto superiore ed efficace e vuole evitare una guerra aperta. Per questo deve muoversi con cautela
La risposta dell’Iran all’uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, potrebbe arrivare entro uno o al massimo due giorni. Sul punto i diplomatici occidentali sono tutti concordi. Quello che è ancora poco chiaro è che forma avrà questa risposta e quali altre forze regionali coinvolgerà. Di sicuro non si tratterà di un attacco come quello dello scorso aprile, nel quale furono sparati decine di razzi sul territorio israeliano, la maggior parte dei quali fu però intercettata dai sistemi di difesa di Tel Aviv ma anche della Giordania.
Iran vuole punire Israele
L’Iran ha convocato gli ambasciatori stranieri con sede a Teheran per avvertire del dovere morale del Paese di punire Israele per quello che considera il suo “avventurismo” e la violazione della legge nell’assassinio di Haniyeh il 31 luglio, e ha ottenuto la convocazione di una riunione d’emergenza dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (Oic) domani (mercoledì 7 agosto), dove cercherà di fare pressione sugli Stati arabi affinché sostengano il suo diritto di intraprendere azioni di rappresaglia contro Israele. In realtà è difficile che lo ottenga, ma una risposta però ci sarà.
L’Iran afferma che “non sta cercando in alcun modo di estendere la guerra”, ma Israele “riceverà certamente la risposta ai suoi crimini e alla sua arroganza”, ha dichiarato lunedì sera il presidente iraniano Massoud Pezeshkian. Quest’ultimo ha anche ricevuto a Teheran il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Sergei Shoigu, al quale ha espresso il desiderio del suo Paese di espandere le relazioni con “il partner strategico”, ricordando che Mosca “è tra i Paesi che sono stati al fianco della nazione iraniana nei momenti difficili”. Secondo il New York Times la Federazione starebbe già consegnando all’Iran apparecchiature avanzate di difesa aerea e radar.
Diplomazia Usa al lavoro
Da parte loro gli Stati Uniti stanno provando a convincere gli altri Paesi della regione che un’escalation in Medio Oriente non è nel loro interesse, e che bisogna fare di tutto per evitarla. Il Segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ha parlato di un “momento critico” per la regione, spiegando che Washington è “impegnata in un’intensa attività diplomatica, praticamente 24 ore su 24” per contribuire a calmare le tensioni tra i timori che l’Iran stia preparando un attacco di rappresaglia contro Israele.
“Tutte le parti devono astenersi dall’escalation”, ha detto Blinken, “tutte le parti devono prendere provvedimenti per allentare le tensioni. L’escalation non è nell’interesse di nessuno. Porterà solo a più conflitti, più violenza, più insicurezza”.
Le incognite
Il generale di brigata Zvika Haimovich, che ha ricoperto il ruolo di comandante delle Forze di Difesa Aerea di Israele dal 2015 al 2018, ha spiegato al sito Iran international di ritenere che questa volta Hezbollah avrà un ruolo cruciale nella rappresaglia iraniana, aggiungendo però che ci sono ancora molte incognite che determineranno se ci sarà una guerra su larga scala. La prima è se Teheran proverà a colpire il centro di Israele, come Tel Aviv, o se si limiterà alla parte settentrionale, vicino alla città di Haifa e meno popolata.
La seconda cosa da capire è, a suo avviso, se l’Iran utilizzerà missili accurati e precisi o ricorrerà a lanci indiscriminati, e la terza è ci saranno lanci massicci di missili contro la nazione. “Tutti sono sotto pressione, soprattutto le forze civili e militari che sono in stato di massima allerta e di piena disponibilità intorno al confine. L’Esercito, la Marina e anche l’Aeronautica. Siamo in attesa. In attesa di cosa? Questa è la domanda da un milione di dollari”, ha detto Haimovich, che durante il suo mandato ha reso operativo il sistema di difesa Iron Dome.
Nessuno vuole una guerra aperta
Sempre a Iran International, l’ex direttore della Cia e comandante del Centocom, il Comando combattente unificato delle forze armate degli Stati Uniti, David Petraeus ha sostenuto che sia l’Iran che Israele alla fine cercheranno di evitare una guerra totale per paura della distruzione che potrebbe portare a entrambe le parti. “Penso che gli iraniani debbano rispondere”, ha detto Petraeus, perché l’uccisione di Haniyeh sul loro territorio “è un colpo enorme all’onore dell’Iran, un enorme fallimento dell’intelligence e un fallimento della sicurezza. Quindi, devono rispondere”.
Ma, ha aggiunto, “non credo che l’Iran voglia entrare in una guerra diretta con Israele. E francamente non credo che Israele voglia entrare in una guerra totale con Hezbollah o con l’Iran”. Haimovich ha ricordato che pochi giorni dopo che Teheran aveva lanciato più di 300 attacchi con droni e missili contro Israele, facendo quasi nessun danno, Tel Aviv ha colpito il sofisticato sistema radar iraniano a Isfahan, dimostrando al suo avversario che le sue capacità di difesa non possono competere con la potenza militare di Israele. “Dopo la risposta israeliana di aprile, il regime iraniano ha capito esattamente quali sono le capacità di Israele”, ha detto. E l’uccisione mirata del leader di Hamas ha dato loro un’altra prova.
Gli alleati regionali
Una guerra diretta tra le due nazioni è complicata, perché Iran e Israele non sono stati confinanti, ma sono divisi da ben quattro altre nazioni: Iraq, Siria, Giordania e Libano. Ma in quest’ultima hanno dei potenti alleati, le milizie islamiche di Hezbollah, così come loro alleati sono gli houthi dello Yemen, altro Paese che pure non confina con Israele, ma che ha dimostrato di poter creare non pochi problemi nel Mar Rosso.