Libero dopo 22 anni: la testimonianza di Bilal Ajarmeh
Bilal Ajarmeh, condannato all’ergastolo per partecipazione attiva a 17 sparatorie contro israeliani e per l’uccisione di due palestinesi accusati di collaborazionismo, è stato recentemente liberato nello scambio con gli ostaggi di Hamas. Ajarmeh ha raccontato di aver ricevuto minacce dai militari israeliani prima della sua liberazione: «Prima di lasciarci alle autorità egiziane, mi hanno detto: ti riprenderemo e ti uccideremo», riporta Attuale.
Attualmente si trova in un albergo al Cairo, insieme ad altri ex detenuti, dopo essere stato uno dei 250 palestinesi condannati a vita a essere rilasciati. Ajarmeh ha condiviso che l’ultimo mese trascorso in prigione è stato particolarmente difficile, evidenziando l’aumento delle torture fisiche e psicologiche.
«Domenica scorsa, alle 7 di mattina siamo arrivati alla prigione di Naqab. Nel giorno della liberazione, ci hanno diviso in due gruppi: 1700 sono andati al Nasser Hospital di Kahn Younis, mentre noi con ergastolo siamo stati spediti in Egitto», ha affermato Ajarmeh.
La sua esperienza di libertà è caratterizzata da emozioni contrastanti. «È una sensazione molto complessa, ho emozioni contrastanti. Questa è la prima volta che rivedo il mio volto in due anni. Riemergo dall’inferno, dove nessun diritto umano è stato rispettato», ha dichiarato. Sebbene potenzialmente desideroso di tornare alla vita normale, Ajarmeh ha espresso il suo desiderio di rivedere la sua famiglia e di far visita alla tomba dei genitori.
In merito alla sua vita passata e al suo coinvolgimento in attività violente, Ajarmeh ha affermato: «I tempi sono cambiati. Questi uomini non sono più quei ragazzi che nella seconda Intifada si sono uniti alla lotta armata per difendere il loro Paese dall’occupazione israeliana. Se Barghouti fosse fuori, inviterebbe a deporre le armi». La liberazione di Marwan Barghouti è vista come un segnale di speranza da Ajarmeh e da molti palestinesi.
Oltre alla liberazione, Ajarmeh ha menzionato le dure condizioni che ha affrontato in prigione, inclusa la perdita dei genitori e le continue umiliazioni da parte della polizia israeliana. Mostrando i segni delle violenze subite, ha raccontato: «A volte non ce l’ho fatta e loro mi picchiavano ancora più forte».
Il suo futuro rimane incerto, con la speranza di una vita migliore. «Ho solo un sogno, di poter un giorno tornare nel mio villaggio e visitare la tomba dei miei genitori», ha concluso Ajarmeh.