Al Parlamento Ue i popolari votano in accordo con l’estrema destra, compromettendo l’alleanza con socialisti e liberali. In attesa del voto sui commissari spunta un nome alternativo a quello della leader tedesca
Prima c’è stato l’emendamento sulla costruzione dei muri alle frontiere, poi la legge sul bilancio, infine il premio Sacharov assegnato all’opposizione in Venezuela. La triade di votazioni durante l’ultima plenaria del Parlamento europeo ha mostrato in maniera chiara che una maggioranza stabile al governo dell’Unione europea non c’è. O meglio: ce ne sono due. E il Partito popolare europeo (Ppe) la cambia a seconda delle necessità. Nei tre casi in questione i popolari hanno votato nella stessa maniera dei gruppi dell’ultradestra, che dal governo dell’Europa sarebbero stati esclusi a seguito delle ultime Europee.
Ufficialmente la Commissione guidata da Ursula von der Leyen è stata confermata per il secondo mandato da una maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali. I verdi invece sono rimasti in sala d’attesa, nella speranza di completare il lavoro sul Green Deal. Il muro pro-europeista, che governa da anni l’Europa e tiene esclusa l’estrema destra, in realtà si sta sgretolando da tempo, ma i segnali in questo mandato sono più evidenti. Le contraddizioni e i pericoli di questa scelta anche, non solo sul piano ideologico, ma anche pratico.
L’alleanza dei popolari con i gruppi di estrema destra
La collaborazione dei popolari con i Riformisti e conservatori di Giorgia Meloni, già sperimentata alla fine della scorsa legislatura, si è ampliata. Il Ppe vota addirittura come i Patrioti per l’Europa, di Viktor Orban, che sulla carta rimane un nemico dichiarato, ma nei fatti diventa un prezioso alleato. E vota anche come il gruppo “Europa delle Nazioni Sovrane”, dei “paria” dell’Alternativa per la Germania (AfD), accusati di avere tra le loro fila dei neonazisti.
Il cordone sanitario si è scucito, ma le conseguenze sulla governance di Bruxelles sono al momento ignote. Il politico tedesco Manfred Weber è considerato il deus ex-machina di questo centro-destra opportunista al limite del cinismo. I popolari puntano ad inasprire la politica su migrazioni, difesa e competitività. Tutti temi cari alle destre, mentre è meno scontato far approvare determinate misure collaborando col centro-sinistra. O servono semplicemente più compromessi. D’altra parte, secondo vari commentatori, per i popolari risulterebbe impossibile governare sistematicamente con l’estrema destra, data la loro propensione anti-Ue che li induce a votare costantemente “contro”.
Il dilemma dei socialisti
I più compromessi sono i socialisti, cui aderisce il Partito democratico. Una fonte fa sapere che il venire meno del cordone sanitario non è reputato uno scandalo per il Ppe. “Ursula von der Leyen è molto pragmatica”, ha spiegato ad EuropaToday un’eurodeputata spagnola, che preferisce rimanere anonima. “Tutta la programmazione, inclusi i calendari delle audizioni e dei voti, viene fatta dal Ppe per agevolare la collaborazione con i gruppi di estrema destra”, ha rivelato.
Ciò nonostante i socialisti permangono nella maggioranza. Prigionieri del senso di responsabilità o delle poltrone che spettano loro, in qualità di secondo gruppo più folto dell’Eurocamera? Sottrarsi al “ricatto” di von der Leyen è più complesso del previsto. L’ultradestra non intende governare l’Europa, sicuramente non sotto la guida di von der Leyen. Se socialisti e liberali dovessero sfilarsi dalla maggioranza, l’Ue rischia una totale impasse, sia a livello legislativo che esecutivo. Consegnare le istituzioni dell’Ue nelle mani degli anti-europeisti è un rischio che in pochi sembrano disposti a correre.
Il voto sui commissari
Il momento della verità arriverà a breve. Dal 4 al 12 novembre sono in calendario le audizioni dei commissari designati. Davanti agli eurodeputati delle varie commissioni, i potenziali “ministri” presenteranno i piani per il loro mandato provando a convincere gli scettici. Sarà una battaglia a Risiko. C’è una catena che lega tutte le nomine proposte da von der Leyen, pur trattandosi di esponenti di gruppi diversi.
Il nome più arduo da mandare giù sembra quello dell’italiano Raffaele Fitto, nominato vicepresidente esecutivo e commissario designato alla Coesione e alle Riforme. L’esponente di Fratelli d’Italia, rappresenta il “regalo” di von der Leyen a Meloni, nonostante il gruppo Ecr non faccia parte della maggioranza ufficiale. Dovrebbe ottenere il voto compatto del Ppe, ma potrebbe essere tradito da fronde di S&D e Renew. La bocciatura di uno o più commissari significa rimettere in discussione tutto il delicato gioco di equilibri messo in piedi dalla politica tedesca.
Mario Draghi come alternativa a Von der Leyen
Se il pacchetto di commissari non dovesse passare le strade sarebbero due. O von der Leyen si dimette e rinuncia al secondo mandato. O la leader tedesca capisce che una sola è la maggioranza che può realmente sostenerla per altri cinque anni, si rimbocca le maniche e trova dei nomi che possano soddisfare a pieno socialisti e liberali, senza più tradire la loro fiducia, sfruttando i loro voti in base alle occasioni. Con il 26% circa di rappresentatività, il Ppe ha in ogni caso bisogno di alleanze per governare.
Secondo il reporter Christian Spillmann, esperto di temi europei, una rinuncia da parte di von der Leyen potrebbe condurre ad una nomina inaspettata. Quella di Mario Draghi, a cui la stessa von der Leyen si è rivolta per far redigere il complesso rapporto sulla competitività. La sua esperienza sui temi economici radunerebbe consensi anche tra i capi di governo, il cui mandato è indispensabile per governare a Bruxelles. Ma questa è un’ipotesi ancora molto distante. In merito alle votazioni dei commissari, le bocche per ora restano cucite. Socialisti e liberali sperano che von der Leyen rinunci alla “maggioranza liquida” e si impegni esclusivamente con loro per il prossimo mandato. Una promessa di fedeltà difficile da mantenere.