Il repubblicano dell’America First è tornato alla Casa Bianca. Ecco i dossier sui quali si concentrerà la seconda amministrazione Trump: dalla guerra in Ucraina al contenimento della Cina. Quali saranno le possibili conseguenze?
Alla Casa Bianca torna Donald Trump, ma dal suo primo mandato – ottenuto con le elezioni del 2016 -, il mondo è molto cambiato. La Brexit, la pandemia di Covid-19, l’invasione dell’Ucraina lanciata dalla Russia, l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 che ha dato il via alla guerra israeliana a Gaza e in Libano, l’assertività della Cina nell’Indo-pacifico, le minacce nucleari della Corea del Nord hanno sconvolto la nostra quotidianità.
È chiaro che il ritorno del tycoon alla Casa Bianca sia destinato ad avere un impatto rivoluzionario, tanto sulla politica estera quanto su quella interna americana. Proviamo quindi a individuare quali sono i dossier sui quali si concentrerà la seconda amministrazione Trump e le possibili conseguenze.
Una dura prova per l’economia dell’Unione europea
La retorica e l’imprevidibilità di Trump sono stati uno stress test per l’Unione Europea durante il suo primo mandato. Ora, Bruxelles appare meno compatta nel resistere alle pressioni politiche ed economiche di Trump: l’avanzata dei partiti sovranisti e di estrema destra che si ispirano all’ideologia trumpiana hanno messo in difficoltà paesi come Francia e Germania, considerati i motori economici dell’Unione Europea.
Le scaramucce commerciali del primo mandato rendono più concreta la prospettiva di dazi unilaterali. Dopo le tariffe protezionistiche imposte sull’importazione di alluminio e acciaio, Trump potrebbe estendere ora i dazi su altri beni provenienti dal mercato comunitario. Gli Stati Uniti infatti sono il principale partner commerciale dell’Ue e lo scambio di beni e merci tra le due sponde dell’Atlantico è più che raddoppiato nell’ultimo decennio, raggiungendo quasi 870 miliardi di euro nel 2022. Durante il suo primo mandato, Trump era entrato in conflitto con Bruxelles perché accusata di non ridurre il deficit commerciale. Adesso, un’estensione dei dazi doganali potrebbe ridurre di 150 miliardi di dollari l’anno le esportazioni europee negli Usa, penalizzando anche le aziende italiane.
La guerra in Ucraina e la minaccia alla Nato
Il ritorno del tycoon alla Casa Bianca arriva in una fase storica molto complessa, alla luce della guerra russa in Ucraina e delle tensioni interne alla NATO. Trump ha parlato di voler favorire un accordo tra il presidente russo Vladimir Putin e quello ucraino Volodymyr Zelensky per porre fine alla guerra iniziata nel febbraio del 2022, senza specificare i termini di questa operazione diplomatica.
Bruxelles teme una riduzione degli aiuti all’Ucraina, sia sul piano economico che militare. Durante l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno supportato Kiev con armi avanzate, fornendo 59 miliardi di euro di assistenza militare dall’inizio della guerra a cui si sommano i 43,5miliardi di euro di aiuti militari forniti dall’Ue. Trump ha dichiarato più volte di voler tagliare queste spese e risolvere diversamente il conflitto tra Kiev e Mosca. Se Washington dovesse defilarsi, toccherà a Bruxelles aiutare l’Ucraina.
L’attuale presidente non ha risparmiato critiche all’Alleanza Atlantica. Critiche che hanno alimentato il timore di un possibile ritiro unilaterale degli Stati Uniti dalla NATO o comunque di una riduzione dell’impegno di Washington nella difesa dei paesi europei da una politica estera sempre più aggressiva della Russia.
Cosa cambia in Medio Oriente con Trump
Il più felice tra i leader mondiali per il ritorno alla Casa Bianca di Trump è probabilmente Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano e il presidente repubblicano sono legati da una profonda amicizia, rafforzata dalle scelte del tycoon durante il suo primo mandato. Netanyahu deve a Trump il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, la firma degli Accordi di Abramo per una “normalizzazione” dei rapporti tra Israele e diverse nazioni arabe, e il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano. Inoltre, da presidente Trump dichiarò “legali” tutti gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi e sulle Alture del Golan, nonostante questi siano illegali per il diritto internazionale. In cambio, Netanyahu ha ringraziato Trump dedicandogli una colonia israeliana, che ora porta il suo nome: Trump Heights.
Trump appoggia pienamente la sproporzionata reazione israeliana all’orrore del 7 ottobre e, anche, la decisione di estendere il conflitto, colpendo l’Iran. Ma, secondo l’Ispi, la questione più importante per Trump è l’Arabia Saudita, quinto paese per acquisto armi, seconda produzione mondiale di petrolio e miliardi di dollari di investimenti in infrastrutture. È probabile che il 47esimo presidente Usa chieda al premier israeliano di porre fine alla guerra a Gaza e nel Sud del Libano, considerate un freno per il business guidato da sauditi e americani.
Addio (di nuovo) al “Pivot to Asia”
Durante i suoi quattro anni alla Casa Bianca, il presidente Biden ha rafforzato un sistema di alleanze con le potenze asiatiche (Corea del Sud, Giappone, Filippine e Vietnam) per contrastare l’assertività militare e diplomatica della Cina nell’Indo-Pacifico, rispolverando l’iniziativa di politica estera adottata da Obama. Ma con il ritorno di Trump, l’attenzione della Casa Bianca potrebbe essere tutta incentrata su tematiche economiche.
Già durante il suo primo mandato, Trump aveva reso più aspre le relazioni tra Cina e Stati Uniti, imponendo alti dazi ai prodotti cinesi e avviando un processo di “disaccoppiamento” economico nei confronti di Pechino. Nella veste di presidente firmò nel 2017 la prima strategia di sicurezza nazionale apertamente anti-cinese, l’anno successivo scatenò una guerra commerciale con l’obiettivo di salvare i posti di lavoro degli americani e azzerare il deficit commerciale tra i due paesi, per poi dipingere la Cina come un’untrice globale durante la pandemia di Covid-19. In campagna elettorale, il presidente americano aveva promesso di imporre dazi al 60 per cento su tutti i prodotti d’importazione cinese, anche quelli costruiti in paesi terzi. Proponendo una politica isolazionista e protezionista, Trump potrebbe favorire un riavvicinamento tra Cina e Unione Europea, il cui rapporto è stato incrinato con l’imposizione dei dazi europei sulle auto elettriche cinesi.
C’è poi il tema caldo di Taiwan. Durante la corsa elettorale il tycoon ha criticato la posizione di vantaggio competitivo di Taiwan nel settore dei semiconduttori e ha espresso la necessità che il governo dell’isola paghi di più per la sua difesa. Queste posizioni hanno fatto sprofondare nell’incertezza Taipei, che teme un ritiro del suo più importante sostenitore internazionale. C’è il timore che in sede di accordi negoziali con Pechino, Trump possa proporre uno stop al sostegno politico e militare a Taipei, in cambio di una riduzione del deficit commerciale con la Cina. E se Washington facesse un passo indietro smettendo di fornire armi a Taipei, Pechino potrebbe accorciare le distanze dall’obiettivo temporale e politico di “riunificare” l’isola alla madrepatria.
L’ambizione dell’amico indiano Modi
Anche il premier indiano ha salutato con giubilo il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Narendra Modi, che vuole assumere il ruolo di leader del Sud Globale e di mediatore tra Kiev e Mosca (l’India ha stretti legami con la Russia e si è rifiutata di condannare l’aggressione in Ucraina), spodestando le ambizioni del leader cinese Xi Jinping, riconosce enormi vantaggi di una seconda amministrazione del tycoon.
In ottica anti-cinese, Trump potrebbe garantire un miglioramento delle relazioni tra New Delhi e Washington in settori quali difesa e antiterrorismo. Di contro, però, c’è il timore che Trump imponga tariffe più elevate sulle esportazioni indiane verso gli Stati Uniti per un valore di oltre 75 miliardi di dollari, andando a colpire prodotti tecnologici, farmaci, gemme e gioielli. Alcuni economisti stimano che il Pil dell’India potrebbe ridursi dello 0,1 per cento entro il 2028 se i dazi di Trump venissero implementati.
Tuttavia, New Delhi non dovrà affrontare le critiche degli Stati Uniti per le politiche interne che sfidano le norme democratiche, come invece accaduto durante l’amministrazione Biden. Il presidente democratico aveva infatti espresso il suo sostegno al colpo di Stato che ha rovesciato la leader del Bangladesh Sheikh Hasina, alleata dell’indiano Modi.
Un’amministrazione Trump 2.0 sarà certamente più radicale e determinata della prima, quando il mondo era impreparato a gestire l’imprevedibilità – e impreparazione – del tycoon. Ma ora il 47esimo presidente ha tutte le carte per giocare al meglio la sua partita, scardinando (di nuovo) gli equilibri mondiali.